In televisione vediamo di continuo le devastazioni di Gaza e dell'Ucraina: stragi, violenze, morti, famiglie distrutte, popolazioni in fuga alla ricerca di una qualsiasi salvezza; lontano dai riflettori altri popoli sofferenti, il Sudan, il Congo, il Tigrai, i Rohingya, ed altri ancora. Distanti nello spazio possiamo commuoverci nelle nostre case, come se <<la felicità stia nella mancanza di eccitazione, (...) sia una cosa che non dovrebbe essere vista, come se fosse una nota musicale che non può essere udita fino a che non suona dal passato>>, fino a quando abbiamo perso la nostra serenità e le nostre sicurezze. Immaginiamo che tutto accada in un paese vicino a noi, l'Irlanda, a seguito della presa del potere da parte di un regime totalitario, deciso a reprimere le libertà e i diritti. Si parte da un fatto apparentemente banale: due poliziotti si presentano a casa di Eilish chiedendo del marito, e <<c'è qualcosa nel modo come la guardano, (...) come se stessero cercando di prendere possesso di qualcosa dentro di lei, (...) guardando fuori nell'oscurità, (...) gli alberi di ciliegio sono vecchi e dovranno essere abbattuti presto, potrebbero dover venir giù in primavera>>. Rapidamente la situazione precipita: il marito è arrestato e scompare in prigione, il figlio più grande va a combattere con i ribelli e non dà più notizie di sé; Eilish cerca di portare avanti una vita normale, sempre più difficile perché la città è un campo di battaglia tra le forze del governo e quelle della Resistenza. Se Eilish avesse letto Il Convitto di Serhij Zadan (vedi la recensione in questo sito) non si stupirebbe di quanto sta accadendo, così come noi potremmo capire perché la donna tarda a comprendere ciò che <<gli alberi sentono nell'aria e parlano del loro terrore attraverso il terreno, facendo in modo che gli altri alberi conoscano il pericolo che è venuto, quei suoni in cielo come di un fuoco che consuma tutto masticando legno nella sua bocca>>. C'è in lei <<una sensazione di morte che non l'abbandona mai>>, un conflitto tra un sentimento di protezione verso i suoi figli e il bisogno di lasciarsi andare: grida al figlio <<quanto sta avvenendo mi sta facendo ammalare, (...) voglio avere indietro la mia vecchia vita>>. E' costretta a realizzare che non c'è modo di tornare al passato quando scompare anche il terzogenito e scopre che è stato preso dalla polizia, torturato e poi ucciso. Non resta che la fuga con i due figli rimasti. <<Chiude gli occhi per vedersi trascinata avanti nell'oscurità, vedere sé stessa divenire un passeggero della propria vita, (...) e vede i suoi figli nati in un mondo di devozione e amore e li vede dannati a un mondo di terrore>>. E non è che ha dimenticato il marito, e con lui il passato, <<è che quando pensa di lui adesso ne rimane così poco, è diventato un'ombra, un'assenza là dove era solito esserci l'amore, o forse ancora un po' d'amore rimane in un anfratto del cuore custodito sotto un così grave peso>>.
Il libro è presentato come un romanzo distopico, un genere oggi diffuso e di grande successo. Sarebbe tuttavia riduttivo leggerlo in questo modo. L'autore indaga il dissolvimento di un'anima sotto il peso di una devastazione incomprensibile. Il racconto è come un canto di un profeta, <<che non canta della fine del mondo (...) ma di ciò che si sta facendo ad alcuni e non ad altri, che il mondo sta finendo sempre ancora e ancora in un posto e non in un altro >>; un messaggio biblico della fine del mondo, liricamente cantato dal punto di vista di un fragile essere umano. Eilish non è la grande madre di Furore di John Steinbeck (si veda in questo sito la recensione di The Grapes of Wrath) , la quale, dura come una roccia, combatte senza mai piegarsi, per proteggere e mantenere insieme una famiglia contro un destino crudele. Eilish è semplicemente una donna travolta da avvenimenti più grandi di lei, che dapprima rifiuta la realtà e poi si rassegna, piegandosi e lottando giorno per giorno. E' una donna normale, probabilmente come tante donne di Gaza e delle troppo numerose terre devastate.
All'inizio il lettore è avvinto dalla scrittura, da un inglese così musicale che solo gli autori irlandesi riescono a scrivere, chi sa per quale misteriosa ragione. Le parole si susseguono singolarmente suggestive, il periodo scorre fluido, elegante, lirico, denso di reconditi e non sempre chiari significati, ma comunque evocativi. Poi, inoltrandosi nella narrazione, sopravviene la fragilità della trama; non c'è uno sviluppo, tutto ricircola su se stesso; ne consegue un racconto prolisso, spesso ripetitivo, con una caduta progressiva della tensione, e dell'attenzione. Un inglese magnificente, una storia deludente!
Perché leggerlo? E' bellissima la lingua, ma va letto in inglese.