Il 28 maggio 1974, in piazza della Loggia a Brescia, una bomba uccise otto persone e ne ferì centodue.
"Occhi negli occhi, lei gli fa un cenno con la mano.
Proprio allora, la bomba esplode.
Un boato.
Poi fumo (grigio chiaro, bianco, azzurrino, pagine e pagine di deposizioni testimoniali, struggenti, defaticanti ...)...
Livia non deve aver sentito praticamente nulla.
Lʼimmagine che si è portata via sono gli occhi azzurri e sorridenti del marito che le viene incontro".
Il libro prende lʼavvio dalla drammatica e struggente descrizione della strage per concludersi idealmente con la scena, altrettanto convulsa e coinvolgente, della lettura della sentenza con la quale la Corte dʼAssise assolse tutti gli imputati, il 16 novembre 2010.
La vicenda giudiziaria non si è per altro ancora conclusa: il 12 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha annullato lʼassoluzione di due dei sei imputati.
Sono passati quarantʼanni e non ancora si è fatta luce su uno dei fatti più gravi degli anni ʼ70, confermando quanto dichiarò Gianfranco Fini in una trasmissione tv: " le stragi sono un mistero".
Ma è ciò che non può accettare Benedetta Tobagi, e con lei Manlio Milani presidente dellʼassociazione vittime delle stragi di Brescia: non per la ricerca di una giustizia vendicativa, ma "per trasmettere la memoria di quanto era successo" e "per capire fine in fondo un periodo di amori e di odio così folle ...
e guardare laicamente al proprio passato".
Questa operazione, di testimonianza e di comprensione ad un tempo, viene portata avanti dalla scrittrice su due livelli.
Il primo, senza dubbio il più efficace dal punto di vista letterario, ripercorre lʼesistenza di quattro delle otto vittime: Livia, moglie di Manlio, la coppia Clem ed Alberto, e Giulietta.
Sono quattro insegnanti, impegnati nella scuola, nella politica e nel sociale.
"Abbiamo le cose che contano realmente, scrisse (Livia) a Manlio quandʼerano fidanzati": era la fiducia "di poter rimodellare il mondo a propria immagine".
Con il terrorismo non si sono solo perse delle vite, si è dissolta la speranza di una generazione.
Si è prodotta nella coscienza nazionale una ferita non ancora rimarginata, perché oscuri sono rimasti i mandanti, i fatti e i motivi.
Il secondo livello del libro riguarda appunto il tentativo della scrittrice di dipanare, o almeno comprendere, il mondo sociale e culturale alla base delle stragi degli anniʼ70.
Basandosi su una documentazione molto ricca e ricorrendo anche a interviste a protagonisti, Tobagi scandaglia, forse con troppo dettaglio, la storia della destra eversiva, da Ordine Nuovo sino al ruolo svolto dal Movimento Sociale.
Il lettore ne esce ancora più confuso di quanto lo era prima, trovandosi sommerso da avvenimenti e personaggi, senza essere aiutato ad arrivare ad una sintesi.
Ma è forse ciò che non cerca la scrittrice, la quale non ha tesi né certezze, ma è interessata a "rompere il cerchio delle accuse reciproche e rendere possibile la pietà, aprendo uno spazio di reale comprensione umana anche per le vittime della parte avversa, rimaste impigliate nello scontro come capri espiatori".
Questo libro persegue troppi obiettivi: la narrazione delle vittime, della loro vita e di come sono arrivate inconsapevolmente alla morte; il rapporto con Manlio Milani e quindi il racconto, purtroppo solo abbozzato, del legame tra due persone così distanti anagraficamente ma entrambe coinvolte in un lutto devastante perché frutto della violenza: Benedetta figlia del giornalista Tobagi, ucciso dalle brigate rosse, e Manlio marito di Livia; la ricostruzione, appassionata e meticolosa, dei giovani che si schierarono nella destra eversiva per "la pulsione verso un fascismo esistenziale", per il "culto della forza fisica, fascinazione per le armi" e per cattivi maestri.
In questo miscuglio di generi e finalità lʼinchiesta giornalistica prende il sopravvento, creando un accavallarsi di informazioni e considerazioni, che rendono noiosa la lettura.
Insomma non tutti sono Roberto Saviano.
Perché non leggerlo ? È alla fine noioso e non aiuta la comprensione di ciò è avvenuto.