Tra i migliori che ho letto!
ma non lo rileggerei

Miguilim

scritto da Guimares Rosa Joao
  • Pubblicato nel 1956
  • Edito da Feltrinelli
  • 132 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 18 giugno 2023
"Un certo Miguilim viveva con la madre, il padre e i fratelli, assai lontano di qui, (...) nel Mutùm. In mezzo al Campo Gerais, ma in un avvallamento in zona di foreste, terra nera, alle falde delle montagne. Miguilim aveva otto anni". Con questo incipit da fiaba Guimares Rosa narra una grande famiglia contadina dal punto di vista di un bambino. "Miguilim non aveva voglia di crescere, di essere una persona grande, i discorsi delle persone grandi erano sempre le stesse cose secche, con quella necessità di essere violente, cose spaventate". In una famiglia sprofondata nella miseria (il papà "urlava che lui era povero, sul punto di divenire miserabile, di dover chiedere l'elemosina"), Miguilim vive al centro di un nucleo sociale complesso, fatto di persone e animali: il padre violento, lo zio che tresca con la mamma, la nonna stramba di una saggezza severa e atavica, la serva strega, "così nera nera, come deve essere la Morte", i bovari e la gente del villaggio, gli animali da cortile, e tanto ancora; ma nessuno è come il fratello Dito, sicuro, protettivo, capace di fronteggiare il padre.  "Di colpo, scoppiò. (...) Ed ecco il tuono! Tuonò enorme, una quantità di volte; tutti si tappavano le orecchie, chiudevano gli occhi. Allora Dito si abbracciò con Miguilim. Dito non tremava, solo era più serio.  (...) Dito era furbo e pacifico. (...) Dito non litigava sul serio con nessuno, (...) Miguilim voleva sempre non litigare, ma finiva per litigare con tutti. Che bello essere come Dito: adatto a tutti gli orari delle persone...". Miguelim è fragile, non adatto al lavoro contadino, ha paura di inoltrarsi da solo nella foresta per portare il pranzo al padre che lavora nei campi, e a nulla valgono le parole assicuranti del bovaro quando Miguelim gli chiede se lui è malfatto, né gli abbracci e i baci della serva strega e neanche lo strofinio del gatto Sossoe, "gli occhi di un verde tanto meno vuoto --- era una luce dentro un'altra dentro un'altra, dentro un'altra, senza fine". Miguilim è come se vivesse in un suo mondo, magico, incomprensibile, meraviglioso e terrificante . Non c'è da stupirsi che la morte di Dito sconvolga il bambino, quasi impazzisce, non può più nascondersi dietro le sicurezze del fratello, deve andare pure lui a lavorare nei campi, in uno zappare sfaticante sotto il sole. Come in una bellissima fiaba, arriva a salvarlo un cavaliere; si rivolge proprio a lui, al piccolo Miguelim, e gli porge degli occhiali. "E Miguilim guardò tutti, con tanta forza. (...) Guardò le foreste scure in cima alla montagna, qui la casa, la siepe di fagioli selvatici e di sao-caetano ; il cielo, il recinto del bestiame, il cortile, gli occhi rotondi e le alte vetrate del mattino. (...) Il Mutùm era bello. Adesso lui lo sapeva." Se in "Il mare non bagna Napoli" di Anna Maria Ortese (si veda la recensione in questo sito), gli occhiali sprigionano una realtà insopportabile per una povera ragazza dei bassi, qui, invece, le lenti hanno un potere salvifico, quasi che solo la conoscenza della realtà permetta di meglio sopportarla. Un finale fiabesco conclude in bellezza l'infanzia del piccolo Miguelim, e preannuncia il grande racconto sociale del capolavoro di Joao Guimares-Rosa. (si veda la recensione del "Grande Sertao" in questo sito).

La grande famiglia contadina ha caratterizzato la struttura sociale del nostro Paese sino agli anni '50 del Novecento. Eppure non ci sono grandi romanzi che narrano del mondo mezzadrile e colonico. Pinocchio è il figlio di un artigiano, i "Malavoglia" sono dei pescatori, Giannino del "Il giornalino di Gian Burrasca" è il tipico ragazzino borghese, le storie di Cuore sono troppo edificanti perché rispecchino una realtà sociale, forse solo lo splendido capitolo "Le quattro stagioni" in "Il Mulino del Po" indaga le dinamiche tipiche del mondo contadino (Per Pinocchio, Malavoglia, il Mulino del Po e il Giornalino si vedano le recensioni in questo sito). Qui invece, Guimares Rosa ripercorre l' infanzia di un bambino all'interno della complessa rete di relazioni d' una realtà misera, tutta rivolta alla sopravvivenza, ma nella quale si agitano sentimenti e si può sognare. Il rapporto tra Miguelim e Dito connota una gerarchia informale in cui il più fragile cerca l'appoggio della personalità più forte, creando una relazione privilegiata e salda, che dà sicurezza e che solo il finale fiabesco può sostituire.

Nella sua intensa prefazione Antonio Tabucchi definisce il racconto "un'operetta dal timbro mozartiano, eseguita dal flauto magico di un narratore non comune". E' una definizione particolarmente azzeccata: è il ritmo altalenante di momenti iperrealistici con altri fantastici, "di non storia", che dà quel senso di fascino ambiguo che caratterizza la narrazione. Dietro il facile schermo della fiaba (ma lo è  veramente?) il racconto "suscita inquietudine e conserva sempre una valenza non attribuibile, a margine (o al di là) della formulazione speculativa. Qualcosa che ricorda il pensiero selvaggio, che è legato al mistero dell'Essere". (Prefazione di  Tabucchi).

Perché leggerlo? Bellissimo!

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