Gradimento Medio
e non lo rileggerei

Memoriale

scritto da Volponi Paolo
  • Pubblicato nel 1962
  • Edito da Il Sole 24 ore
  • 261 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 23 novembre 2025
Albino è un giovane contadino, che abita sopra un lago insieme con la madre, alcolizzata, taciturna e anaffettiva. Dagli scarni cenni sulla sua vita precedente apprendiamo che ha trascorso l'infanzia in Francia, è rimasto orfano del padre appena la famiglia è tornata in Italia, è andato soldato nella seconda guerra mondiale, è stato in un campo di prigionia, dove ha contratto probabilmente la tubercolosi. Ci sono in Albino la nostalgia di un tempo felice, il bisogno di punti di riferimento (la madre, la religione), la ferma convinzione di essere perseguitato, (dagli ufficiali, dai medici, domani dai capi reparto), insieme con un confuso anarchismo che nasce dal mondo contadino in cui è cresciuto. Il lago è la rappresentazione allegorica di una solitaria inquietudine. <<Sul lago erano sospese, né alte né basse, delle nebbie azzurre; solo sul lago, come un fumo. Il cielo era sereno e già aveva alta, sotto i veli del giorno, una piccola luna: "vedi Albino, pensavo, se tutti i tuoi mali fossero come quelle nebbie che la luna a mezzanotte avrà sicuramente consumato. (...) Toccavo le mie spalle come da ragazzo durante la malattia e masticavo un sapore di me stesso, un filo della mia gioventù>>. E' il 1946 quando Albino si presenta all'Ufficio del Personale di una grande fabbrica per essere assunto come operaio fresatore. Da qui si diramano due filoni narrativi, che si sviluppano intrecciandosi: uno sociologico e l'altro esistenziale. Volponi, con la sua esperienza di dirigente industriale, descrive molto bene l'ambiente alienante della fabbrica: dinanzi al posto di lavoro <<tutti avevano un muscolo tirato, o le labbra strette, o gli occhi socchiusi o le sopracciglia aggrottate. Vuol dire che tutti avevano un pensiero che batteva dentro le loro teste e rimbalzava su tutta la fabbrica e ancora batteva. (...) Il lavoro stesso non dava alcun aiuto; non richiedeva l'accompagnamento del pensiero, andava avanti per conto suo tirando le nostre mani perché nella fabbrica non era possibile fare altro>>. A differenza di quanto emerge dal romanzo di Ermano Rea ("La dimissione" si veda la recensione in questo sito), non si percepisce un senso di appartenenza al prodotto, alle macchine e all'organizzazione del lavoro: la fabbrica è un corpo ostile, Albino fa parte a sé stesso, non si sente solidale con gli altri né accetta la gerarchia aziendale, che gli propone persino di fare la spia. Gli dice un amico sindacalista, <<ma tu stai sempre per conto tuo. Mi attaccavano dunque perché ero solo?>>, si chiede Albino. Malgrado la malattia e le accuse verso i medici di fabbrica, Albino è protetto dalla Direzione (chi sa perché?), che gli dà un lavoro tranquillo, quello del piantone. Proprio dall'entrata della fabbrica Albino assiste ad uno dei primi scioperi del dopoguerra e corre ad avvisare gli addetti alla mensa di astenersi dal lavoro, per favorire la lotta degli operai (per noi è oggi difficile capire l'importanza della mensa). Quest'atto di insubordinazione non è accettabile per la Direzione, e lo licenzia. Se la storia fosse solo questa, il romanzo sarebbe un affresco dell'Italia industriale degli anni' 50. Ma Volponi vuole esprimere un malessere esistenziale, che va oltre al contesto storico, al tema dell'alienazione, problematica così diffusa nella pubblicistica marxista degli anni '60. Lo scrittore immagina che Albino scriva una sorta di confessione, con cui pare volere definitivamente accettare il suo stato di abbandono. <<Guardavo, come sempre, il lago crescere a poco a poco sotto i miei occhi, nella salita verso casa mia. Nel nitore del pomeriggio il lago era senza sfumature, senza bracci verso la campagna e gli alberi; chiuso dentro le sue sponde. E il suo colore non brillava e non si spandeva all'intorno. (...) A quel punto ho capito che nessuno può arrivare in mio aiuto>>: non la fabbrica, non i compagni, non i medici, furfanti o meno, né tanto meno la madre: <<io sono una goccia/la prima o l'ultima di un acquazzone/caduta dalla grondaia/quando nell'aria/non s'aspettava pioggia,/nemmeno quella goccia./la mia goccia s'è perduta, /nessuno l'ha goduta>>.

Nella sua bella prefazione Giuseppe Lupo vede il romanzo come un'elegia della fabbrica, di un mondo scandito dal ritmo delle macchine che si è andato selvaggiamente sostituendo al ciclo delle stagioni e dei suoi lavori che caratterizzavano la vita dei campi. Di questo passaggio Albino, pare dire Giuseppe Lupo, ne è la vittima e il cantore ad un tempo; da qui il ritmo solenne ed onirico del romanzo. E' singolare che un dirigente industriale dell'Olivetti, qual era Paolo Volponi, abbia scritto un racconto così realistico ed esistenziale insieme, con tratti che paiono scivolare verso la psicoanalisi. Se pensiamo che "Memoriale" è la prima opera di Volponi, dobbiamo perdonargli la confusione narrativa, le inutili ripetizioni o divagazioni; e lo dobbiamo fare perché il malessere di Albino pare riflettere quello di Volponi, stretto tra la razionalità manageriale e la tensione poetica.

Scritto in forma di confessione, l'io narrante è lo stesso Albino. Le tante letture in sanatorio, il tempo libero passato in biblioteca debbono avere insegnato molto al povero contadino se il romanzo è scritto così bene: un periodare fluido, anche se talvolta involuto, le conversazioni serrate, intrise di simbolismo le descrizioni del paesaggio agreste (si sentono rimembranze pascoliane) a fronte di un realismo onirico quando si parla della fabbrica. Al romanzo fa difetto la trama: si allunga inutilmente per molte pagine, perdendo di sintesi e divenendo prolissa.

Perché leggerlo? E' interessante il connubio tra razionalità industriale e magia del mondo contadino. 

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