"Una nave faro non ha un'elica, non ha un motore, sul ponte di comando non c'è un timone: non può far altro che ondeggiare, un po' sconsolata, un animale che tira invano una catena" In questa nave che non navigherà e non vedrà terre lontane, gli uomini dell'equipaggio scompaiono "nel labirinto oscuro dove tutti i giorni della loro vita lavorativa venivano digeriti in un ammasso di ricordi quasi inestricabili". In questa sorta di prigione, in un equilibrio fragile di vite e di ricordi irrompe un capretto. Lo porta a bordo il cuoco con l'intenzione di macellarlo per farne un piatto gustoso. "Un animale così su una nave (gli gridò la contadina), sta' attento perché vorrà scappare. (...) Una capra vuole sempre andar via", ma sulla nave siamo tutti prigionieri, dice il cuoco. Viene naturale chiedersi perché il cuoco abbia voluto portare il capretto a bordo; certo è una carne squisita ma le ragioni culinarie non sono rilevanti, nell'infanzia dell'uomo riposa un'immagine che riaffiora di continuo. Ancora bambino un servo della casa lo indusse a sgozzare una gallina. "Dal collo sgorgò il sangue, il pollo batté con forza le ali. (...) corse dentro alla ricerca di sua madre. (...) Si mise il pollice in bocca e posò il capo sul suo petto. Il dito aveva il sapore dolce del sangue del pollo. (...) Chiuse gli occhi". Il cuoco non ha una grande esperienza nella macellazione, tanto meno di capre, ma non importa: nel suo inconscio vuole ripetere il rito infantile con il quale ha vinto la paura e ha ritrovato la madre. Il cuoco non si rende conto che non è il solo a subire il fascino oscuro del capretto. Arrivano alcuni giorni di una nebbia densa che, " smorzò il vento, dissipò i suoni, pietrificò il moto delle onde, circondò la nave faro. (...) Ora era un animale inerme, incatenato, accerchiato, (...) invisibile per le navi in transito". Il rischio dello schianto è palpabile, la tensione nell'equipaggio è altissima, non si può che attendere, scrutando il buio della nebbia. A chi non si è rafforzato in anni di attesa e non è capace di reprimere la paura, il capretto, animale saltellante e irrequieto, può sembrare il diavolo, che ha portato il disordine in una vita così regolare come quella della nave faro. C'è un marinaio, che "a volte sentiva cose che non c'erano e faceva fatica a scrollarsi di dosso i pensieri che lo assillavano". Il suo compito a bordo è di fare le rilevazioni per il Servizio Meteorologico, ma le annotazioni meticolose e dettagliate sono diventate "una contabilità ombra della sua inquietudine e del suo disagio". Si convince che sia il capretto l'origine dei mali che affliggono l'equipaggio, di quella nebbia oscura che avvolge la nave: una situazione che non gli permette di riempire il suo quaderno giornaliero. Decide di dare la morte al capretto con un rito che esorcizzi il male. Ma se l'animale è il diavolo come si può sperare che un semplice marinaio salvi la piccola comunità?
Non si capisce se per la scarsa conoscenza dell'autore della vita marittima o per le difficoltà della traduttrice di trasferire in italiano un eventuale linguaggio marinaresco, comunque la nave faro resta sullo sfondo del racconto; è possibile riportarla alla luce solo come una metafora del male e della fragilità dell'animo umano. Ad un certo punto il cuoco si ammala di malaria e precipita in una sospensione della coscienza a causa della febbre. Finalmente una tregua alla memoria, dice l'autore!. Che cos'è questa passione per i ricordi, mai veri ma sempre immaginati? Non sarebbe meglio svanire nel vuoto del presente, senza passato e futuro? Diceva Sant'Agostino che non esiste che il presente, perché il passato è la memoria nel presente e il futuro non è che l'attesa di oggi per ciò che accadrà. Dando al racconto un'interpretazione filosofica potremmo concludere che il capretto è il grimaldello per trascinare il passato nel presente, tutto ciò che di oscuro c'è nell'animo umano e che ha origine nella memoria.
La scrittura è essenziale: frasi brevi con un frequente ricorso al punto con la conseguente frammentazione della narrazione, personaggi abbozzati e in qualche modo sospesi, una trama semplice persino banale. Pare una cronaca fredda e giornalistica di una vicenda che non deve avere una spiegazione, se non ci si limita ad alcuni tratti psicologici, peraltro poco sviluppati. E' assente il fascino del mondo marittimo, nel linguaggio e nelle situazioni, se si escludono le descrizioni della nebbia oscura e paurosa.
Perché non leggerlo? E' fragile Sotto il profilo narrativo, inutile per quanto riguarda i contenuti.