Tra i migliori che ho letto!
ma non lo rileggerei

La famiglia di Pascual Duarte

scritto da Cela Camilo José
  • Pubblicato nel 1942
  • Edito da Utopia
  • 155 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 21 maggio 2025
Il lungo racconto di Cela è un romanzo pervasivo, pauroso e pietoso nello stesso tempo; lo si vorrebbe un affresco di una società contadina ancestrale dominata dalla violenza, o pensarlo come "una visione nitida della vulnerabilità dell'uomo", come recita la motivazione con cui fu conferito il premio Nobel allo scrittore spagnolo nel 1989. In realtà, Pascual Duarte non è una vittima, è banalmente un assassino: << il sangue sembra che sia il companatico della tua vita>>, gli dice Lola, la prima moglie, confessando di avere un'amante. Certo, nella lunga lettera scritta in carcere, prima della sua esecuzione, Pascual cerca di dimostrare come sia stato trascinato dal destino; nella lunga e confusa cronaca di come sia arrivato a uccidere tre persone (l'amante della sorella, la madre e don Gonzalez, << insigne patrizio >> cui dedica con malizia la sua sorta di confessione), ricorrono frasi del tipo: cercai di posporre <<l'urto che tuttavia doveva accadere, fatale come le malattie e gli incendi, come i tramonti e la morte, perché nulla poteva impedirlo>>. oppure. << se la mia condizione di uomo m'avesse consentito di perdonare, avrei perdonato, ma il mondo è fatto come è fatto e voler andare contro corrente non è possibile >>. Dopo essere uscito dal carcere, dove scontava la pena per il primo delitto, Pascual giunge ad accusare la clemenza della legge per averlo trascinato <<verso un male peggiore>>. Meglio sarebbe stato restare in prigione! Folle impostore o anima fragile, plasmata da un'infanzia infelice, dallo strazio <<di non poter uscire dal male mentre dentro di noi si va imputridendo questo ossario di speranze morte sul nascere...>>.  Se diamo per vero ciò che ci racconta Pascual, dobbiamo propendere per la sua innocenza, non per la legge, dinanzi alla Giustizia divina: un padre brutale, <<alto e grosso come un macigno>>, una madre, <<alta e magra, (...) scattosa e violenta>>; entrambi privi di ogni principio morale e di qualsiasi freno ai propri istinti; e poi, un fratello scemo e una sorella che presto abbandona la casa per prostituirsi; e che dire di Lola che lo insulta, dicendogli che non era un uomo, era come il fratello scemo. Ci sono i bambini morti, l'uno a causa di una giumenta irrequieta e l'altro per il freddo vento della Castiglia. Pascual cova in sé un odio, che esplode inesorabile in una furia sanguinaria; un mostro da cui è inutile sfuggire. <<Mi misi a correre; e anche l'ombra correva. Mi fermai; e anche l'ombra si arrestò. Alzai gli occhi al firmamento: non c'era una sola nuvola in tutto il suo arco. L'ombra continuava ad accompagnarmi, passo dopo passo, fino a casa...(...) Avrei voluto mettere la terra frammezzo la mia ombra e me stesso, fra il mio nome e me stesso, fra il mio sangue e me stesso, questo me stesso di cui, a togliergli l'ombra e il ricordo, il nome e il sangue, rimarrebbe così poco...>>.

Nella concezione induista ogni individuo ha un suo "karma", una sorta di sovra temporalità dell'essere, che con la morte non segue il destino del corpo ma trapassa da una forma di vita all'altra nell'eterno ciclo delle rinascite. Il karma di Pascual è l'inclinazione sanguinaria, è questa l'ombra che lo insegue. Forzando l'interpretazione si potrebbe dire che sottostante al racconto ci sia una visione metafisica, un pessimismo atemporale dell'uomo. Se riportiamo al presente questa condizione, se pensiamo al genocidio di Gaza, alle stragi in Ucraina, ai tanti conflitti che ci sono nel mondo, la storia di Pascual non si chiude nella sua tragica vicenda umana, ma costituisce una sorta di profezia apocalittica per l'intera umanità. Come scrive Sebastiano Vassalli  in "3012 l'anno del profeta" (si veda la recensione in questo sito), gli uomini "incominciarono a sgozzarsi con tanto entusiasmo, che nessuna forza naturale o soprannaturale avrebbe potuto fermarli. (...) Amen". 

Costruito intorno ad un abile espediente letterario, una sorta di confusa confessione, riscoperta da un semplice trascrittore, il romanzo ha una trama apparentemente disordinata, per il fluire dei ricordi che si sovrappongono e per le lunghe interruzioni nello scrivere da parte del carcerato Pascual; in realtà, la narrazione è portata avanti molto bene, soffrendo, forse, della mancanza di colpi di scena, se si esclude il drammatico omicidio della madre. Non so se è voluto o è una distrazione: da nessuna parte viene raccontato l'assassinio di Don Gonzales. La scrittura è efficace, alternando dialoghi serrati con ampie e suggestive descrizioni degli ambienti e con approfondimenti dello stato d'animo del protagonista narratore. Gli altri personaggi sono dei comprimari.

Perché leggerlo? E' un pugno nello stomaco. 


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