Gradimento Medio-alto
ma non lo rileggerei

Il Duca

scritto da Melchiorre Matteo
  • Pubblicato nel 2022
  • Edito da Einaudi
  • 453 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 11 settembre 2022
"Erano ormai dieci anni che vivevo quassù a Vallorgàna da solo, nella villa dei miei avi. (...) Io ero certo di trovarmi nella sorte migliore che potessi desiderare. Nulla di importante avveniva nelle mie giornate. Nulla di complesso ingarbugliava il mio sguardo. Nessuno strappo nella quotidianità. Nessuna decisione a intralciare il passo". E' questo l'incipit del racconto di colui che conosceremo solo come il Duca. Erede di una antica famiglia nobiliare, i conti Cimamonte, il Duca appartiene alla cultura dei pochi, "quella di chi, per mezzi e tradizioni, vive in un mondo di pensieri dal quale i più sono esclusi". Il Duca vive, o vorrebbe vivere, in un'isola, costituita dalla sua villa e da Vallorgàna. A disintegrare questo isolamento "spaventoso" sopravvengono due fatti. Mario Fastrèda, capo riconosciuto della piccola comunità, fa tagliare gli alberi di un bosco di proprietà del Duca; è un piccolo sopruso, che potrebbe essere lasciato passare, se non fosse che il Duca scopre un antico codice che narra la storia dei Cimamonte. Leggendo le gesta dei suoi avi, la cronaca delle prepotenze e violenze dei Cimamonte, si rende conto che le faide erano "fatue e pretenziose", ma per un nobile erano invece "obblighi di rispetto", degni della più grande attenzione. Ed è come se un drago, dormiente da secoli, "venisse su dalla terra, da radici che si stessero tendendo, da pietrame che si stesse sgretolando, da croste che si stessero spezzando". Inizia una guerra tra il Duca e Fastrèda; la impone "un passato profondissimo, (...) frutto dell'antico ordine del sopra e del sotto". Per lunghe pagine l'autore ripercorre le vicende di questa faida insensata, incomprensibile dal punto di vista razionale, ma che affonda le radici in un odio ancestrale. E' il contesto a dare fascino al racconto: la Montagna che sovrasta il paese come un monolite sacro, i boschi, incombenti e minacciosi, che avanzano a scapito dei prati, la piccola comunità, sempre più vecchia e disperatamente ancorata alle tradizioni, ai rancori e alle leggende, ed infine misteriosi ed antichi presagi, come il volo di una cornacchia dalle ali bianche. Non siamo dinanzi al bosco magico di Dino Buzzati (si veda "Il segreto del bosco vecchio" recensito in questo sito); Melchiorre è uno storico degli alberi e della loro terra e sa bene che non è vero che "i boschi e le montagne siano specchio di virtù", come vorrebbe l'ingenua mitologia naturalistica. A interrompere, per fortuna, la narrazione della faida arriva Maria, contro l'odio sopraggiunge l'amore. "Era una malia di natura straordinariamente fisica tutta rivolta al corpo: "trascinante e diversissima, indocile, lunatica, irriguardosa e con un che, per altro, d'inspiegabilmente selvatico". Ma Maria è la nipote di Fastrèda, il nemico. Il vento d' autunno, "danzando e bisbigliando mi mostrò nel suo specchio brandelli di me stesso e frammenti di altre cose e infine, abbracciando un ceppo di faggio, diede una frustata e inizio a bisbigliare con più insistenza. Mi chiese se Maria volessi perderla o conservarla. (...) Se fossi inebriato dal suo corpo soltanto o se in lei avessi colto l'inesprimibile". E' un dilemma che probabilmente il Duca non sarebbe riuscito a risolvere da solo. Prima una potente bufera lo caccia da Vallorgàna, creando in lui un disincanto verso il passato, la storia incombente degli avi; non vorrebbe più tornare al paese, vorrebbe abbandonare la villa allo sfacelo. Ritorna per fare l'inventario delle cose da vendere, incontra Maria e tramite gli occhi bruni di lei scopre "questo luogo raro e comunque crudo e comunque chiuso, che può aprirsi soltanto aggredendo erte e salite, aggirando scogliere di boschi...." Capisce di appartenere a Vallorgàna non per volontà dei suoi avi, ma perché questo è il suo luogo, la cui storia sovrasta e supera quella delle persone. Quando lo dice a Maria, l'affascinante Maria risponde: "può darsi". Ma perché tante elucubrazioni, non bastava dirle che restava perché l'amava?

Estraniazione, furia, amore, disincanto e incanto sono le cadenze di un grande romanzo, che si sviluppa in un ambiente ristretto, sul quale incombe la storia degli uomini e della natura, storia che da "passato remoto" rischia continuamente di diventare "passato presente". Alla fine sarà il presente a vincere, ma a questa attesa conclusione si arriva dopo tante pagine, numerose riflessioni filosofiche e molti incisi. La trama perde di ritmo, talvolta pare uno zibaldone nel quale l'autore ha voluto dire troppo del suo mondo a scapito della narrazione e dei personaggi. A dare piacere alla lettura è la scrittura, ricca di aggettivi che non compromettono il fluido scorrere delle parole dando anzi un senso piacevole di barocco.

Perché leggerlo? Piacevole, accattivante, anche se lungo.

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