Siamo nelle terre orientali ( lʼUcraina ?) negli anni della prima guerra mondiale e della rivoluzione russa.
È un periodo di violenze e di sconvolgimenti, ma lʼautore descrive questi tempi anche con nostalgia, perché i vagabondi " possono vivere (ancora) della misericordia degli uomini.
Sebbene le macchine abbiano iniziato, con puntuale passo dʼacciaio, la loro marcia sinistra verso lʼEuropa orientale, gli uomini guardano benevoli alla miseria altrui".
Prevale ancora uno spirito comunitario, ma Tarabas, uomo brillante e violento, conduce una vita sua propria mentre gli uomini delle terre orientali ne sopportano una in comune.
Il romanzo si sviluppa in due parti, con una cesura significativa costituita da un pogrom contro gli ebrei.
Nella prima parte Tarabas, cacciato dalla famiglia, vive nella guerra, che é " la sua grande, sanguinosa patria.
Arrivava in regioni pacifiche, metteva in fiamme i villaggi, lasciava dietro di sé le rovine di piccole e meno piccole città, donne in lacrime, bambini orfani, uomini bastonati, impiccati e ammazzati".
Non si preoccupa della storia, dei motivi di questa continua guerra, lʼimportante é continuare la sua vita soldatesca.
Gli viene affidato il compito di costituire un reggimento nella città di Koropta, dove cʼé un importante insediamento ebraico.
Tutti lo temono: i poveri contadini, gli ebrei e i suoi stessi soldati ed ufficiali, che " non parlavano, sussurravano.
Perché in mezzo, come su unʼisola di silenzio, come circondato da un muro di muto e lucido ghiaccio, sedeva solo al suo tavolo il temuto colonnello Tarabas.
Beveva ".
Ed é proprio durante una gigantesca ubriacatura, che nellʼosteria di un ebreo della piccola cittadina, i soldati cominciano a sparare contro il muro del cortile facendo cadere lʼintonaco: emerge lʼimmagine di una Madonna, che tutti credono che sia stata profanata e nascosta dagli ebrei.
" Scesero dai carri, armati di fruste e bastoni" e si gettarono contro gli ebrei che stavano uscendo dalla sinagoga e proprio " nella scura solennità dei loro lunghi caftani aperti ...
i contadini credettero di riconoscere lʼorigine veramente infernale di quel popolo che si nutriva di commercio, dʼincendio, di rapina e di ladrocinio".
Si scatena una caccia allʼebreo, che gli uomini di Tarabas non riescono a fermare.
È il momento migliore del romanzo, lʼautore rende in modo epico, come se fosse un fenomeno naturale, la furia omicida e senza senso del popolo contro gli ebrei.
Forse lʼautore condivide quanto diceva Pascal, ossia che il sopravvivere e la miseria del popolo ebraico " sono ugualmente necessari a dimostrare la verità di Cristo".
Ciò che è avvenuto è ineluttabile ( " é stata la volontà di Dio" dice un ebreo a Tarabas), ma è anche colpa di Tarabas, che ha bevuto la sera prima ed è rimasto in caserma troppo tempo senza controllare i suoi soldati.
Al senso di colpa reagisce nellʼunico modo con cui sa fare un uomo violento, con ulteriori brutalità.
Una sera si imbatte in un povero ebreo che cerca di nascondere i sacri libri della Torah.
In preda allʼira Tarabas picchia lʼebreo e gli strappa i ciuffi rossi della barba.
È un atto di gratuita brutalità verso un poverʼuomo.
È il fondo per Tarabas, che ha sempre avuto la percezione, nella profondità della coscienza, di essere un uomo violento e nel contempo ha sempre sentito la nostalgia della sua infanzia, del suo desiderio di " fuggire dal presente, indietro, nel passato si salvava il potente Tarabas".
Decide di abbandonare tutto per espiare iniziando una sorta di pellegrinaggio, di discesa verso la miseria e la solitudine.
Il lungo peregrinare lo riporta a Koropta a chiedere in qualche modo perdono al povero ebreo.
Solo così può morire in pace.
La critica si sofferma sulla figura di Tarabas, come emblematica di un uomo senza radici, " un ospite di questa terra", come recita il sotto titolo del romanzo.
Ritengo, invece, che il libro si sviluppa su un tema di grande attualità: come la guerra possa trasformare gli uomini, che si abituano alla crudeltà e allʼindifferenza come se il male chiama altro male, in una discesa verso gli inferi.
Che cosʼè in fondo la devastazione della piccola e innocua comunità di ebrei un lasciarsi abbandonare al male, un modo di sfogare la furia che lʼignoranza e il sopruso reprimono ma alimentano ? Lʼespiazione di Tarabas è in fondo una reazione a tutto questo, la non accettazione di ciò che sembra ineluttabile.
Lo stile narrativo, essenzialmente di carattere epico, trasforma il racconto in una leggenda, è molto efficace nei singoli brani ma rende fragile lʼintera struttura narrativa, che sinceramente risulta spesso superficiale e scontata.
Perché leggerlo ? Si legge molto bene anche se con scarso coinvolgimento.