"Faceva caldo che non era scirocco e non era arsura, ma era soltanto caldo.
Era come una mano di colore data sul venticello, sui muri gialletti della borgata, sui prati, sui carretti, sugli autobus coi grappoli agli sportelli.
Una mano di colore chʼera tutta lʼallegria e la miseria delle notti dʼestate del presente e del passato.
(...) E nei centri delle borgate, nei bivi, come lì al Tiburtino, la gente si ammassava, correva, strillava, (...) pure nei posti più solitari cʼera della confusione, con file di maschi che andavano in cerca di qualche zoccoletta, (...) tutto un gran accerchiamento intorno a Roma, tra Roma e le campagne intorno, con centinaia di vite umane che brulicavano tra i lotti, le loro casette di sfrattati, o i loro grattacieli.
E tutta quella vita, non cʼera solo nelle borgate della periferia, ma pure dentro Roma, nel centro della città, magari sotto il Cupolone".
In una Roma dei primi anni ʼ50, ma in realtà senza tempo, Pasolini racconta lʼesistenza quotidiana di ragazzi di borgata, poveri e cenciosi, i quali, "in disordine come uno sciametto di mosche sʼun tavolo sporco (...) volevano (...) prender di petto, così, il mondo in generale, con tutta la razza degli uomini che non se la sapevano divertire come loro".
È una "compagnia paracula" di maschi, narrata nel loro romanesco volgare, così lontano dallʼitaliano artefatto della borghesia.
" E mo qqua che famo ? - disse Alduccio.
Famose na camminata a ppiedi, va ! - disse il Begalone.
(...) Continuarono a sganassare per un poʼ pure quando le mignotte non li potevano più sentire, piegandosi sulle ginocchia, appoggiandosi al muretto o dandosi caracche: più che ridere facevano dei versacci con la bocca e sputavano.
(...) Erano tutti e due ingrifati, che avrebbero fatto pure con una vecchia di settantʼanni.
(...) Quanto ssoʼbbone ! - gridò il Bègalo.
Bòne erano due ragazze sedute sugli scalini del tempietto: due bionde gajarde su tutte le ròte, con delle sottane alla cercamarito che sfondavano, e con la scollatura che gli si vedevano mezze zinne di fuori.
(...) Quale te manneresti pellʼossa, - chiese Begalone - ʼa bionda o ʼa roscia ? - Tuttʼe ddue, - fece lʼaltro.
(...) O tuttʼe ddue o nissuna pecché si no lʼaltra pija dʼaceto".
Ovviamente rimangono entrambi in bianco perché le due non se li filano.
Il libro è un insieme di brevi storie con protagonisti gli stessi ragazzi; non cʼè una trama, sono spicchi di vicende umane.
Il più bello è "Il bagno sullʼAniene", legato al racconto finale: la Comare Secca.
Su un fiume putrido, pieno di immondezza e degli scarichi di una vicina fabbrica, un brulicare di giovani e di ragazzini si spogliano ignudi, togliendosi i lerci e miserevoli vestiti, prendono il sole, giocano e si fanno scherzi e prepotenze, si gettano in acqua, per trovare refrigerio, per lavarsi e per dimostrare di essere uomini, nuotando tra le pericolose correnti del fiume.
Sono scappati da miseri ed angusti alloggi, per fuggire ad un padre violento ed ubriacone, per allontanarsi dalle grida delle madri, da sorelle adolescenti ma già incinte: cercano la libertà.
Come un gruppo di gatti randagi se la prendono con il più debole, al quale viene dato fuoco, mentre "i ragazzini continuavano a calciare gridando".
Spavaldi, annegano attraversando a nuoto il fiume; dinanzi alla morte si reagisce con indifferenza.
"Si sentivano da sotto Borgo Antico e Mariuccio che urlavano e piangevano, Mariuccio sempre stringendosi contro il petto la canottiera e i calzoncini di Genesio; e già cominciavano a salire aiutandosi con le mani su per la scarpata.
- Tajamo, è mejo - disse tra sé il Riccetto".
I racconti rimangono sempre in sospeso, senza uno sviluppo perché non cʼè un futuro per il sottoproletariato urbano; e forse è meglio così, perché, se emergessero dalla loro condizione miserevole, questi ragazzi perderebbero il loro fascino, la loro veracità, così da non permettere di fare "lʼesperienza immediata, umana, come si dice, vitale, (...) (laddove) il bombardamento ideologico non ha ancora toccato se non genericamente i problemi del sesso.
(...) Quindi, placatisi la necessità sociologica, io continuo comunque a vivere necessariamente nella periferia".
Così scriveva Pasolini nel 1958 in un articolo sulla rivista Città Aperta.
In questa rappresentazione estetizzante del sottoproletariato non cʼè il gusto intellettuale di "una regressione momentanea" dalla cultura alta alla sotto cultura ? E poi la libertà cercata dai "ragazzi di vita" sulle acque dellʼAniene, nelle notti romane a Villa Borghese, non si è poi evoluta comunque nella violenza gratuita e criminale degli anni ʼ80 ? Non sono questi i precursori della Banda della Magliana ? Dietro a giustificazioni biografiche e sociologiche Pasolini nasconde un profondo pessimismo sullʼItalia, una visione conservatrice e una totale incomprensione della società moderna.
La peculiarità del romanzo di Pasolini risiede nellʼuso della lingua dei "parlanti" della periferia romana.
Pasolini riprende le tracce di Fogazzaro, di Verga e di Gadda cercando di narrare con il linguaggio effettivamente parlato.
Se questo è il pregio fondamentale, in quanto riesce a dare spessore ai personaggi e alle situazioni, il limite del libro sta nella sua staticità: non cʼè trama e alla fine annoia.
Perché leggerlo ? È un romanzo originale dal punto di vista stilistico.