"Pubblico oggi questo vecchio racconto poiché mi piace irrimediabilmente il suo linguaggio libero, la sua favola senza morale, la sua malinconia portena (tipica degli abitanti di Buenos Aires) e anche perché lʼincubo in cui nacque è ancora sveglio e vaga per le strade".
Con questa annotazione Cortazar introduce un racconto scritto nel 1950, negli anni del primo peronismo, tra il 1945 e il 1955.
Fu un periodo di grandi cambiamenti sociali: uscita ricca dalla seconda guerra mondiale, sotto la guida di Peron lʼArgentina sembrava avere dinanzi un futuro di sviluppo.
Eppure, crescevano il disagio e il pessimismo tra gli intellettuali e nel ceto urbano; una malattia morale e psicologica che nasceva dalla soffusa e tacita consapevolezza della contraddizione tra una città cosmopolita, come era Buenos Aires, e un regime ottusamente ostile alla cultura e alle libertà individuali.
I personaggi del racconto, i due fidanzati Juan e Clara, Andrés, Clara e il cronista, vagano nella notte in una città irreale, immersa nella nebbia.
Il loro è un parlare apparentemente senza senso, che ruota costantemente intorno allʼinutilità dellʼintellettuale.
"Tutto questo parlare, passarci fogli, questi tavolini dei caffè dove libri e libri e libri e prime e mostre....
Credimi, qui cʼè una fregatura, un tradimento.
Non ti resta che unire tradimento alla realtà, alla vita, allʼazione, e con questo e uno stemma sul risvolto della giacca sei pronto a intraprendere qualsiasi carriera".
Il gruppo non ha una meta né le vicende che lo coinvolge danno una trama alla narrazione; alternando prosa e poesia, citazioni letterarie argentine, latino americane ed europee, i giovani continuano a parlare dello stesso tema, in modo ossessivo e chiaramente inutile: "un bravo biologo riderebbe a crepapelle sentendo il nostro squittire.
Perché non gridiamo nemmeno, il nostro è un versetto da topi".
"Così assurdo parlare a vanvera, pensò Juan mentre uscivano, sentirsi parlare e sapere che non si ha mai abbastanza ragione.
Questa è unʼaltra, forse la peggiore, delle nostre vigliaccherie".
Juan, hai veramente ragione ! Purtroppo siamo stanchi di tanto chiacchiericcio, vorremmo avere un poʼ di realtà, di sano pragmatismo.
È per questo motivo, insieme con la mancanza di trama e la pochezza dei personaggi, che ho deciso con sofferenza di abbandonare la lettura alla fine del primo capitolo.
Può darsi che il racconto prosegua cambiando radicalmente ritmo narrativo, non lo saprò mai, pazienza ! "Il linguaggio libero" va bene se è in piccole dosi.
La domanda che viene spontanea a noi italiani del secondo millennio è la seguente: quanto di questo racconto ritroviamo nel nostro Paese ? "La creazione nasce dalla morale, non dallʼingegno (dice Juan), Ahi, Ahi, fece Clara, siamo mosci.
Giusto, mosci, senza tensione.
(...) Intendo dire che siamo carenti di spirito di sistema (che sia la libertà o per la libertà), e questo è soprattutto un difetto morale".
Perché non leggerlo ? È profondamente noioso.