Questo racconto autobiografico sulla Resistenza ha lo stesso avvio di altri romanzi, che hanno narrato gli anni di guerra partigiana tra il 1943 e il 1945: come in "Primavera di Bellezza" di Fenoglio o "A conquistare la rossa primavera" di Lajolo il protagonista è un giovane ufficiale, in attesa di chi sa che cosa.
"Forse ci spegneremo così, poi quando saremo spenti, si spegnerà un poʼ alla volta anche la guerra".
Ed invece arriva lʼarmistizio, "come un urlo", e si ritorna a casa, a piedi, in mezzo a colonne di tedeschi.
Si torna a frequentare gli amici dellʼuniversità, a Vicenza, si riprendono le vecchie discussioni, si partecipa ad un "sentimento collettivo (...) inebriante; si avvertiva la strapotenza delle cose che partono dal basso, le cose spontanee; si provava il calore, la sicurezza di trovarsi immersi in questa onda della volontà generale".
Si entra nella Resistenza, girando in città e per i paesi della pianura veneta, ma già a ottobre del 1943 si è costretti a salire in montagna, nel Bellunese e nellʼAltipiano di Asiago, i luoghi dove è in gran parte ambientato il libro.
A differenza di quanto accade in Fenoglio e Lajolo, il protagonista non diviene un lupo solitario, come il "Partigiano Johnny", né acquisisce una coscienza politica, che lo conduca a schierarsi, anche dopo la liberazione.
Lʼautore scrive un racconto volutamente anti eroico, ma lo fa con timore, perché "ogni tanto avevo il senso di toccare un punto più pericoloso, quasi una breccia in un argine; e mi pareva che smuovendo sarebbe venuto giù un fiotto di caotiche affezioni personali, civili e letterarie che mi avrebbe portato via".
E "alla fine si estinsero anche i sensi delle parole, aggettivi, nomi, quei vigliacchi dei verbi; (...) Da ultimo restammo soli io e il non io".
La scansione del racconto segue le fasi tipiche della storia partigiana: la nascita delle bande, disorganizzate ed isolate, i rastrellamenti dellʼautunno del 1943, il lungo inverno successivo e la crescita del movimento nella primavera del 1944 e quindi la nuova offensiva nazi fascista, che porta i partigiani a scendere in pianura.
Il protagonista attraversa questi avvenimenti senza soffermarsi sulle azioni di guerra, le quali restano sempre sullo sfondo, ma concentrando lʼattenzione sugli uomini e sul paesaggio.
Incontra vecchi amici, se ne fa dei nuovi, li perde (perché vengono fucilati o muoiono in battaglia), lambisce alcuni amori, cerca disperatamente di parlare di letteratura e di filosofia, di portarsi con sé la sua cultura umanistica.
Anche lui, come il Partigiano Johnny, si ritrova solo nel lungo inverno del 1944: in fuga, affamato, senza scarpe sopravvive a stento, ma il tutto sembra un sogno.
"Camminavo, col paesaggio che veniva fuori a pezzi e bocconi e faceva lʼeffetto di muoversi.
(...) Poi la luna fa un lungo salto a pesce nel cielo, la sua luce color mandarino si decanta; sono in piedi e sto in piedi, cammino sulla strada tra le case di Frizzòn, batto alla prima porta.
(...) In questa casa non cʼè nessuno.
Sono tutti morti.
Aprimi almeno tu ! Sono morta anchʼio.
(...) Aspetto la bara che venga a portarmi via".
Pur abbandonato (sarà salvato dalla Rosina, una giovane contadina) il protagonista vive come in un lungo viaggio, reale ed ideale, per le montagne venete, al ciglio delle colline e delle pianure.
E spesso lo sovrasta un sentimento di meraviglia, come quando vede dallʼalto "i torrenti, le strade, i paesi riconoscibili a uno a uno in una specie di grande lago; tutto era di smalto e dʼoro, (...) e per un poʼ mi venne una specie di emozione che non mi aspettavo, come se uno viaggiando in Cina si affacciasse a una valle remota, e gli apparisse, lì sotto Thiene, il fumo di Schio, e le montagnole sotto le quali cʼè il suo paese, casa sua".
Lʼatmosfera soffusa e delicata è il pregio fondamentale del romanzo: essa è il frutto di uno stile narrativo e di un approccio, volutamente perseguito.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la scrittura è di impronta umanistica, tradizionale, colta ed elitaria; ma la retorica tipicamente italiana è ripulita dei suoi fronzoli, è resa frugale ed essenziale; in tal modo si esaltano la fluidità del periodo e la ricchezza dei vocaboli e delle espressioni.
Il romanzo è una sorta di rimembranza e quindi giustamente lʼautore non intende fare una cronaca degli avvenimenti, ma li vuole narrare con la lente della memoria, che dà forma a singoli pezzi, guardandoli dalla prospettiva di chi li vede ormai lontani, come in una nebbia.
con un sentimento di tenerezza, ma anche di lieve distacco.
Ed è questo il tratto peculiare del romanzo, che lo rende affascinante.
Questa scelta, che dà più importanza alle sensazioni che agli avvenimenti, rende a tratti noioso il racconto, perché va a scapito del ritmo e dellʼapprofondimento dei personaggi.
Perché leggerlo ? È bello perdersi nella sua atmosfera.