Tra i migliori che ho letto!
e lo rileggerei volentieri

Il mio nome è rosso

scritto da Pamuk Orhan
  • Pubblicato nel 2001
  • Edito da Einaudi
  • 493 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 02 novembre 2006

Il libro si sviluppa su diverse trame, che è difficile ricondurre a un unico filone narrativo.
Un primo percorso riguarda il declino della tecnica della miniatura, che si era sviluppata nel Cinquecento sotto l’influenza dell’arte persiana e cinese.
L’arte ottomana della miniatura giustificava la possibilità di disegnare le immagini a completamento dei libri con il fatto che non si effettuavano ritratti di personaggi reali e non esisteva uno stile personale, ma le figure e i paesaggi rappresentavano il mondo con l’occhio di Dio e quindi riprendevano continuamente immagini e stili, che erano stati codificati dai vecchi maestri e quindi erano legittimati dall’autorità del passato.
In realtà questo approccio costituiva in qualche modo una giustificazione e un obiettivo, in quanto, poi, il miniaturista e il laboratorio, al quale questi apparteneva, aggiungevano piccole modifiche o assemblavano in modo innovativo le immagini fissate dai grandi maestri del passato.
Il sultano decide di fare preparare un libro con immagini secondo lo stile europeo, conosciuto dagli ottomani attraverso Venezia.
A causa della delicatezza della richiesta, che poteva creare forti reazioni tra gli ortodossi, la realizzazione del libro non viene affidata al laboratorio di corte, ma a un anziano artista, Zio Effendi, che affida singoli disegni agli stessi miniaturisti del laboratorio.
Il racconto delle modalità di attuazione dei disegni è condotto dall’autore in modo singolare, ossia dal punto di vista delle diverse immagini rappresentate: il cane, l’albero, la moneta, il cavallo, la morte, il colore rosso.
Con questo espediente narrativo l’autore racconta la storia dell’arte della miniatura, che è arrivata alla sua conclusione, perché, dopo la morte del sultano, verrà abbandonata in quanto considerata non aderente ai precetti della religione mussulmana.
La storia di questʼarte permette anche di aprire una serie di scorci sulla storia della civiltà mussulmana (in particolare le invasione dei mongoli e la guerra tra la Persia e gli ottomani) e sui temi narrativi predominanti, in particolare la storia d’amore tra Cosroe e Sirin.
Un secondo percorso narrativo è in qualche modo un giallo.
Uno dei miniaturisti uccide un compagno e lo Zio Effendi.
Si intrecciano in qualche modo diverse motivazioni: la gelosia e l’invidia, il desiderio di carriera e l’idea che si stesse realizzando un libro blasfemo e che questa operazione andasse fermata.
Anche in questo caso l’autore utilizza l’espediente di far narrare le vicende dal punto di vista dei diversi personaggi.
È interessante come vengono condotte le indagini: il sultano affida al maestro del laboratorio di miniatura il compito di individuare l’assassino tra i propri discepoli, pena la tortura e la morte di tutti.
Il maestro scopre una stranezza nel disegno del cavallo, un tratto che identifica il disegnatore, e quindi chiede al sultano di entrare nel tesoro per studiare i vecchi libri e scoprire in questo modo l’origine storica del tratto e quindi identificare il miniaturista in base alla conoscenza della sua vita e della sua evoluzione artistica.
In realtà al maestro non interessa questa indagine.
È deciso a punire i discepoli per averlo tradito accettando di collaborare alla realizzazione del libro ed è interessato a visionare, per l’ultima volta, il grande tesoro del sultano.
Un patrimonio artistico che sta per scomparire e una storia di lotte e di invenzioni emergono dinanzi al maestro, che decide di accecarsi secondo un vecchio rituale dei grandi maestri.
Un terzo percorso narrativo è la storia d’amore di Nero, ritornato dopo tanti anni a Istanbul, e di Sekure: una vicenda triste perché la donna non ama realmente Nero ma accetta di sposarlo solo per trovare una sistemazione e dare un padre ai propri figli.
I tre filoni narrativi si intrecciano tra di loro e sono ricondotti a unʼunitarietà non tanto dai contenuti, quanto soprattutto da un clima di nostalgia e di tristezza: un mondo sta scomparendo.
È il grande impero ottomano ed è l’incontro di civiltà e di culture che facevano riferimento alla religione mussulmana.
L’arte della miniatura non resiste all’assalto della cultura occidentale, che riprende "il reale" e afferma l’individualità dell’artista, e dell’ortodossia religiosa.
Il maestro decide volutamente di distruggere il laboratorio perché capisce che non può più tenere sotto controllo le aspirazioni dei discepoli.
Le strade e le case della città sono tristi, l’amore si riduce a convenienza e i bambini stessi sembrano pallide rappresentazioni dell’infanzia.
Nero, che ha scoperto l’assassino per amore di Sekura e ha rischiato la vita, condurrà unʼesistenza triste e solitaria accanto a una donna che non lo ama.
Perché o non si cambia o si cambia troppo in fretta perdendo ciò che proviene dal passato? Dice il maestro: "ora capisco che migliaia di miniaturisti, facendo in delicato segreto sempre gli stessi disegni per secoli, avevano disegnato il segreto e delicato trasformarsi del mondo in un altro mondo".
Non sono le vicende che creano questo contesto di malinconia e di decadenza, ma è lo stile dell’autore, che riesce con l’accostarsi degli argomenti e l’uso attento degli aggettivi a creare un senso di sospensione e di dolce maliconia.

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