Gradimento Medio
e non lo rileggerei

Istanbul

scritto da Pamuk Orhan
  • Pubblicato nel 2003
  • Edito da Einaudi
  • 361 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 14 giugno 2014

" Io so che la mia ispirazione trae vigore dallʼattaccamento alla stessa casa, alla stessa strada, allo stesso panorama e alla stessa città...
questo mio legame con Istanbul significa che il destino di una città può diventare il carattere di una persona".
In questo libro Pamuk racconta di come è diventato uno scrittore, ma nel farlo non può non parlare della sua Istanbul, la città degli anniʼ 50 e ʼ60, in pieno declino, non a caso narrata e fotografata in bianco e nero.
È talmente stretto lʼintreccio tra la storia della città, racchiusa nei "dettagli del passato", e la storia della propria identità come scrittore ed individuo, che è appare evidente come la convulsa trasformazione di Istanbul abbia inesorabilmente invecchiato lo stesso Pamuk, non rendendolo più interprete del tempo contemporaneo.
Il romanzo non ha una trama vera e propria, ma è un insieme di microcosmi, di episodi, di riflessioni e suggestioni.
Per dare un senso generale al racconto, si possono individuare tre filoni narrativi.
Innanzitutto, quello biografico parla dellʼinfanzia e dellʼadolescenza, della grande famiglia Pamuk, della case, della crisi coniugale dei genitori.
Il percorso formativo di Pamuk non coinvolge la pagina scritta.
Non ci sono incauti ed infantili tentativi di scrittura né grandi libri, che "hanno cambiato la vita".
I libri, letti e riletti dal giovane Pamuk, sono "la collezione di fatti e curiosità", possibilmente arricchiti da disegni e fotografie, che siano "una rassegna seducente, terribile e a tratti disgustosa di curiosità, eventi e personaggi bizzarri".
Da qui è naturale il passaggio alla pittura: essa permette di contemplare e rappresentare il panorama di Istanbul, dapprima "considerato unanimemente bello", poi contrassegnato dai segni del declino.
"Disegnavo le piccole moschee, i muri distrutti, gli archi bizantini di cui si vedeva solo una parte, le case di legno con sbalzi e le modeste abitazioni".
Nel dipingere Pamuk conosce il piacere della creazione artistica.
"Solo ora realizzavo, con un salto spirituale più complesso e più scaltro, il desiderio di fuggire da me stesso....
talvolta perdevo il controllo del disegno ...
e qualcosa mi trascinava con impeto, sollevandomi piacevolmente: solo quando finiva, a moʼ di onda che si disfa infrangendosi contro gli scogli, dopo essermi liberato dallo stupore e dalla tristezza, potevo riposarmi un poʼ".
Per capire perché Pamuk decida di diventare scrittore, abbandonando la facoltà di architettura e la passione per la pittura, occorre rivolgersi al secondo filone narrativo: la rassegna dei grandi scrittori turchi ed occidentali che hanno parlato di Istanbul.
È necessario conoscere questa letteratura per apprezzare le pagine ad essa dedicate.
Si coglie, comunque, come Pamuk guardi alla sua città attraverso le parole degli osservatori occidentali, al punto tale che le descrizioni di Istanbul da parte di questʼultimi sembrano "un ricordo personale.
Naturalmente, a questo contribuisce anche il fatto che la popolazione di Istanbul si sia nel frattempo decuplicata, e alcuni viali e piazze, nonostante non siano per nulla cambiati, sembrino ora luoghi completamente diversi a causa dellʼaffollamento.
Sento sempre la nostalgia degli anni in cui la città era solitaria e vuota".
Si ritorna sempre ad Istanbul, a " questa mescolanza della storia con le rovine, delle rovine con la vita, e della vita con la storia".
Il terzo filone narrativo è costituito dalla descrizione della città, dalla contemplazione del Bosforo e dalle peregrinazioni tra "i resti del vecchio tessuto della città fatto di legno e pietra".
Chi ha avuto occasione di perdersi nei quartieri armeni e greci o di scendere da Taksim verso le rive sul Bosforo può apprezzare quanto scrive Pamuk e capire che "forse amiamo il posto in cui viviamo solo perché non abbiamo altra soluzione, come in famiglia.
Ma dobbiamo scoprire dove e perché amarlo".

È inutile sperare di trovare nel libro una guida ad un soggiorno ad Istanbul.
Troppo distante e limitata è la città di Pamuk rispetto a quella attuale, multiforme, giovane, dinamica e gigantesca.
Il libro parla del profondo legame che tutti noi abbiamo con i luoghi della nostra vita e che spesso diamo per scontati, come un fatto ovvio.
È un rapporto reciproco, che va difeso e costruito giorno per giorno e che si alimenta nello sforzo quotidiano di "accordare il proprio stato dʼanimo ai panorami che la città offre.
E tale operazione, se fatta con naturalezza e sincerità, conduce a unire, nella propria memoria, le immagini della città ai sentimenti più profondi e sinceri, al dolore, alla tristezza e di tanto in tanto alla felicità, alla gioia di vivere e allʼottimismo.
Se impariamo a guardare una città in questo modo, e se ci viviamo così a lungo da trovare lʼoccasione di unire in un legame stabile i panorami ai nostri sentimenti più veri e profondi, dopo un poʼ ...
le strade, le immagini, i paesaggi della nostra città si trasformano, uno dopo lʼaltro, in realtà che ci fanno ricordare alcuni nostri sentimenti e stati dʼanimo".

Perché leggerlo ? Dimentichiamoci di Istanbul, parliamo del legame con la nostra città, e dei ricordi e dei sentimenti.

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