Sconsiglio vivamente
e non lo rileggerei

Strada Provinciale tre

scritto da Vinci Simona
  • Pubblicato nel 2007
  • Edito da Einaudi
  • 228 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 15 gennaio 2008

Lo spunto del libro è molto interessante.
Vera, apparentemente moglie felice, abbandona marito, famiglia e lavoro.
Comincia a camminare per una strada provinciale: "ha cominciato camminando, poi ha accelerato, passi sempre più lunghi, rapidi e contratti.
Uno di seguito all’altro".
"La strada è una strada larga che taglia una campagna distrutta.
Una distruzione precisa, geometrica".
"Sotto i suoi occhi la strada.
L’asfalto crepato e ruvido.
Pieno di buchi, crateri, fenditure, mozziconi di sigaretta, preservativi, merde di cane rinsecchite, gatti spiaccicati, piume d’uccello, lattine accartocciate, frammenti di copertoni esplosi, chiodi, bulloni, pezzi di ferro arrugginito, carcasse di animali ormai irriconoscibili.
È il mondo visto dal basso".
"Sei libera, penso.
Sono libera.
E sto correndo.
Non c’è un ricordo".
In queste frasi iniziali c’è la sintesi e la parte migliore del racconto, che poi si sviluppa in modo ripetitivo e senza una vero svolgimento.
Vera incontra diversi personaggi (un vecchio, un giovane immigrato) e subisce la violenza della strada.
In realtà in una questa corsa per la strada, Vera viene a conoscenza di un mondo, che prima non conosceva: i poveri, gli abbandonati, i derelitti, i violenti.
Ma non si tratta di un romanzo a sfondo sociale.
In realtà si tratta di una storia intimistica: un continuo oscillare tra il ricordo e l’immaginazione.
Tutti i personaggi ricordano la loro vita e i sogni che hanno realizzato.
Vera pensava di poter vivere di niente, sola con i suoi disegni, e poi sognava di avere dei gemelli, due figli identici.
In realtà Vera vuole scappare da un incubo, da un sogno nel quale continuamente ritorna: il dolore per un aborto, per un figlio non avuto.
E ricomincia a correre sapendo di restare sempre ferma, perché non c’è possibilità di scappare.
"Magari potrebbe restare qui ferma, piantata come un albero, a guardare le stagioni che passano, e tornano, a guardare i camion, le automobili, tutta questa gente che passa e alla quale di lei non importa niente, nessuno che si domandi chi sia quella donna, ferma lungo la strada e perché sia lì.
Solo un dettaglio insignificante di un paesaggio visto in corsa da un finestrino, con la coda dell’occhio.
Un cespuglio, un albero, un muro, un sasso conficcato nell’asfalto, una staccionata nascosta dall’erba".
Il romanzo è scandito come una serie di poesie: metafore e meditazioni espresse in modo efficace, ma che si perdono nella ripetitività, nella mancanza di ritmo e di azione, che contraddistingue il racconto.
Non c’è svolgimento ma un continuo ritorno al tema iniziale, alla rappresentazione di una angoscia esistenziale e ambientale.
La congiunzione tra le vicende individuali (le "storie" di ciascuno) e un contesto squallido e ormai distrutto nella sua identità, costituisce un tema di grande rilievo.
Il modo come viene comunicato dalla scrittrice appare più consono alla forma poetica che a quella del racconto.
E alla fine risulta pesante e per molti aspetti ermetico.

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