Gradimento Medio-basso
e non lo rileggerei

La strada del Donbas

scritto da Zadan Serhij
  • Pubblicato nel 2013
  • Edito da Voland
  • 397 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 07 maggio 2025

Questo romanzo fa parte di una trilogia, che include Mesopotamia e Il Convitto, quest'ultimo recensito in questo sito. L'ambiente è sempre il Donbas, una terra dove <<tutto scompare -- le città, la popolazione, le infrastrutture. (...) Si stendeva e si levava un vuoto leggero e profondo, dipanandosi direttamente sotto i nostri piedi verso oriente e verso meridione>>. E' una terra di transito dove si possono incontrare carovane di zingari e pastori con le greggi, abbandonati villaggi di minatori e aeroporti in dissesto dell'era sovietica, sconosciute comunità religiose, camion e treni carichi di merci di contrabbando, bande criminali bramose di denaro e potere; pianure popolate da animali notturni: <<i serpenti uscivano strisciando lungo i binari lucidi, (...) i ragni correvano per la sabbia, spingendosi in alto, dall'altra parte della luce della luna. E le fulve volpi, con un ghigno minaccioso, si avvicinavano alla ferrovia cercando di saltare l'ultimo confine che le divideva da terre sconosciute>>. Il Donbas è una distopia, riecheggiando il mondo perduto di Cormac McCarthy (si veda la recensione di "The Road" in questo sito), o è un luogo di purificazione, verso cui "il popolo devoto con larghi giri si dispiega e stende, e drizza a l'Oliveto il lento moto"? (si veda il Canto XI verso 10 della Gerusalemme Liberata, di cui si può leggere la recensione in questo sito). Di certo non lo sa Herman quando riceve da un amico d'infanzia una telefonata, che lo informa che il fratello è scomparso, lasciandogli sulle spalle un distributore di benzina, che con leggerezza Herman aveva accettato di intestarsi. Non sappiamo se Herman fosse già stanco della propria vita; tant'è si convince presto a restare nel Donbas, a cercare di salvare l'attività del fratello, pur tra attentati intimidatori di bande locali che vogliono impossessarsi del distributore. <<Mi trovavo fra persone che conoscevo da anni e altre che non conoscevo affatto, che mi guardavano con attenzione, che volevano qualcosa da me, si aspettavano da me un gesto speciale>>. Alcuni erano amici e amiche della giovinezza, della stessa scuola, degli stessi campi di calcio e delle medesime bevute; altri erano nuovi personaggi e nuovi amori. A Tamara chiede se non volesse andar via dal Donbas ed ella gli risponde che c'è sempre qualcosa che ci trattiene ed è <<la certezza di ieri. A volte basta questa a trattenerci>>. O forse, come succede spesso, sono i luoghi che ci fanno rimanere: <<la valle laggiù si immergeva nel buio. A oriente il cielo si copriva di una foschia torbida, mentre da occidente, proprio sopra le nostre teste, fuochi rossi si spargevano per tutta la valle annunciando che sarebbe rapidamente arrivata la notte. (...) Se si sceglie bene il posto, a volte si può sentire tutto questo insieme: per esempio, come s'intrecciano le radici, come scorrono i fiumi, come si riempie l'oceano, come volano i pianeti per il cielo, come i vivi si muovono sulla terra e come i morti si muovono nell'aldilà>>. 

Sarebbe un errore interpretare il romanzo alla luce degli avvenimenti successivi, che hanno fatto del Donbas un tragico campo di battaglia. Il tema è la peregrinazione tra gente amica e luoghi amati, un ritorno senza speranza, un girare insofferente nella propria terra. E' un viaggio onirico dentro la propria coscienza, come se si scorresse un vecchio album di foto, dove <<uomini e donne, vecchi e giovani, studenti, militari, operai, diplomande in grembiule bianco, morti nelle bare con le monete sugli occhi, bambini con i giocattoli preferiti -- tutti in attesa che qualcuno guardasse di nuovo le loro pupille a colori o in bianco e nero, per cercare di capire cosa li tenesse insieme, cosa li unisce, di cosa erano vissuti e perché erano morti>>.  

Il pregio fondamentale del romanzo è la scrittura, che alterna descrizioni di grande efficacia espressiva a dialoghi serrati che riconducono ai personaggi e alle storie. In questo oscillare tra divagazioni oniriche e approccio tradizionale la narrazione si frammenta, diviene prolissa, spesso confusa, tanto che il romanzo non si conclude con un finale definito, perdendosi via via nei puntini. A tratti si percepisce una poesia prosa; aspetto che, se delizia il lettore ( riecheggiando i Canti Orfici di Dino Campana), risulta dispersivo e rende difficile ricomporre l'intera storia. I personaggi emergono dal nulla senza approfondimenti, scompaiono e ricompaiono senza se ne capisca veramente il ruolo e la psicologia.

Perché leggerlo? Vale la pena ma si fa fatica. 

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