Tra i migliori che ho letto!
e lo rileggerei volentieri

Porte de la paix céleste

scritto da Shan Sa
  • Pubblicato nel 1997
  • Letto in Francese
  • Finito di leggere il 24 dicembre 2008

Il romanzo inizia con la vicende di Piazza Tienanmen e con la fuga di una delle ispiratrici della rivolta (la protagonista Ayamei): questa ragazza si rifugia presso una famiglia di pescatori in una zona isolata, dove viene ricercata dall’esercito cinese al comando di un giovane ufficiale, Zhao.
Per non essere catturata Ayamei fugge nel bosco e si immerge in una nuova vita, a contatto con la natura e “nelle montagne non respira che per la luce, il vento e la foresta”.
Il romanzo si conclude in modo misterioso: Ayamei sale sulla cima più alta delle montagne e Zhao, che ha capito dove si è nascosta la ragazza, guarda con il binocolo sulla montagna e vede una figura di donna, che cade nel vuoto, lo fissa e “gli occhi negli occhi, egli dimenticò tutta la sua vita passata.
Lo sguardo era nero, intenso.
Le labbra rosse “.
La rivolta di Piazza Tienanmen è solo un’occasione per sviluppare un racconto che è un insieme di romanticismo, di presa di coscienza dei limiti e delle ipocrisie di una società intrisa di regole e, infine, di una storia “magica” tipica del mondo cinese.
L’amore di Ayamei per Min, un compagno di scuola ribelle e anticonformista è la classica storia occidentale di una relazione contrastata dalla società e dai genitori, che termina nel suicidio del ragazzo, così come vuole la trama scontata delle storie di amore della nostra letteratura.
L’assunzione di consapevolezza di Ayamei e di Zhao costituisce un percorso differente e parallelo che li conduce a comprendere la vacuità e la crudeltà di una società che affida a ciascuno un ruolo e una responsabilità all’interno di una predominanza delle esigenze collettive su quelle individuali.
Infine il tema più tipicamente cinese: la riscoperta della natura e delle sue caratteristiche mitologiche e magiche, il perdersi in una dimensione pre-razionale nella quale i valori della bellezza e dell’equilibrio sono fini a se stessi e non strumentali.
Come dice la protagonista, “è possibile dimenticare che ogni bellezza è effimera, è possibile vivere l’irreale?” o la domanda di Zhao se sia giusto uccidere l’aquila, che “magnifica è appollaiata su una roccia.
I suoi muscoli sono duri come l’acciaio: i suoi occhi brillano come la lama affilata di un pugnale; il suo piumaggio nero assomiglia ad una corazza“.
La risposta non può essere che affermativa in una società nella quale a ciascuno spetta una funzione e quindi al cacciatore quella di uccidere la preda (“è il nostro mestiere, i cacciatori non hanno pietà“).
Questo miscuglio di ispirazioni è il limite del romanzo, che non trova un suo equilibrio narrativo e presenta numerose cadute nel ritmo e nello sviluppo degli argomenti (si prenda, per esempio, il resoconto del diario di Ayamei, spesso noioso e scontato).
Anche lo stile ne risente: ad un avvio molto efficace (frasi corte ed essenziali) si sostituisce via via un tono sempre più lirico, che se favorisce la percezione della crescente dimensione irreale, fa perdere tuttavia le caratteristiche asciutte della scrittura che sono uno dei pregi principali del romanzo.

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