Sconsiglio vivamente
e non lo rileggerei

Freedom from Fear and other writings

scritto da Aung San Suu Kyi
  • Pubblicato nel 1991
  • Edito da Penguin Books Ltd
  • Letto in Inglese
  • Finito di leggere il 10 dicembre 2014

San Suu è nata nel 1945, due anni prima dellʼassassinio del padre, fondatore della Birmania indipendente ed eroe nazionale.
Lʼannotazione biografica è fondamentale per capire questa raccolta di saggi, discorsi, lettere ed interviste, pubblicati tra il 1984 e il 1994.
Variano le finalità e la scrittura, cambiano le circostanze, ma sempre traspare la preoccupazione di San Suu di capire lʼeredità del padre, "di comunicare quanto ha compreso e di applicarlo ai problemi del proprio paese".
Il saggio che dà il titolo alla raccolta ("Liberi dalla paura") non deve trarre in inganno: San Suu non è una filosofa morale, una sorta di santone moderno; è innanzitutto un personaggio politico, caratterizzato da una forte e prevalente dimensione etica.
Quando la dissidente birmana invita a liberarsi dalla paura e dalla corruzione intende affermare "la ferma convinzione nella santità dei principi etici combinati con una visione storica: a dispetto degli insuccessi la condizione umana si colloca su un percorso finale di avanzamenti spirituali e materiali".
In un recente discorso al Forum internazionale delle donne, San Suu ha definito la politica "il mezzo per cambiare la società, e il cambiamento deve essere effettivo, non simbolico.
E quanto effettivo dipende da quanto correttamente valutiamo i bisogni del popolo e del paese" (citato da La Stampa 9 dicembre 2014).
Che questa sia una riflessione a lungo meditata emerge da un importante saggio incluso nella raccolta (Richiesta di democrazia).
In esso ella afferma come "la vera misura della giustizia di un sistema sia lʼammontare di protezione che esso garantisce ai più deboli.
Dove non cʼè giustizia non ci può essere una pace sicura".
Parliamo quindi di giustizia sociale, non certo di concetti astratti, appartenenti alla sfera della filosofia e della religione.
Per interpretare correttamente il pensiero di San Suu bisogna leggere lʼinteressante analisi che lʼautrice compie della vita intellettuale in Birmania e India durante il colonialismo.
Non è possibile sintetizzare un saggio molto complesso: si può dire in breve come il confronto con lʼIndia permetta a San Suu di portare avanti una critica severa alla cultura birmana, allo stesso buddismo, una "religione monolitica (...) con inflessibili barriere"; di individuare le fonti del consenso del regime non tanto nella repressione, quanto nelle differenze etniche e nello sciovinismo contro le comunità cinesi e indiane; di chiarire come i suoi ispiratori siano Gandhi e soprattutto Nehru, il suo vero padre spirituale: un grande politico, quindi, è il suo riferimento.
Se non ci si ferma alle parole, vacue e banali, di "Liberi dalla paura" (ma perché dà il titolo alla raccolta ?), ci si accorge come San Suu non intenda affatto rinchiudersi nellʼimmagine spiritualista e buddista, che le vorrebbe attribuire lʼoccidente; vuole essere misurata per quello che riuscirà a fare per il proprio paese.
A chi la invitava a lasciare la Birmania, " replicai che non avrei fatto nulla dallʼestero e se io avessi voluto impegnarmi in un movimento politico avrei dovuto farlo dallʼinterno del paese".

Dopo aver letto lʼintera raccolta, ci si pone la domanda: San Suu ha fatto i conti con suo padre ? La risposta è negativa.
La figlia San Suu continua a idealizzare la figura paterna, senza porsi la questione di come mai la dittatura abbia avuto origine in un esercito forgiato dal padre: un uomo, istruito nei monasteri ma educato militarmente e politicamente dai giapponesi.
Come succede spesso lʼamore filiale pregiudica la lucidità e la freddezza, comunque necessarie in un personaggio politico.

Perché non leggerlo ? È noioso, forse inutile.
frammentario, ripetitivo e prolisso.

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