Gradimento Medio
e non lo rileggerei

Il grido silenzioso

scritto da Kenzaburo Oe
  • Pubblicato nel 1967
  • Edito da Garzanti
  • 270 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 18 ottobre 2023
<< Mi sveglio nell'oscurità che precede l'alba, e annaspo tra gli angosciosi brandelli di sogni che ancora indugiano nella mia coscienza, alla ricerca  di un'ardente sensazione di attesa. (...) In ogni parte del mio corpo percepisco separatamente i diversi pesi della carne e delle ossa, come sensazioni che si fondono in un dolore sordo nella mia coscienza, riluttante a riaffiorare alla luce. (...) Ho dormito con le braccia e le gambe piegate di lato, nella posizione di chi non voglia ricordare la propria natura o la situazione in cui si trova. >> E' questo l'incipit del romanzo; esso racchiude i tratti essenziali di un racconto onirico eppure fortemente radicato nella realtà: il rifugio nel sogno per fuggire alla sofferenza,  quest'ultima espressa nei corpi, spesso descritti in modo grottesco; la memoria come prigione che rinchiude il destino umano, già condannato; l'ambiguità delle relazioni familiari e sociali,  ispessite da rassegnati silenzi e da indicibili ricordi. Siamo dinanzi a un flusso di coscienza in un ambiente rappresentato in modo naturalistico e fiabesco a un tempo. Mitsui, l'io narrante, è sconvolto dal suicidio tragicomico di un amico. La sua vita è già segnata dalla mostruosa disabilità del figlio e dall'alcolismo della moglie; pesano poi su di lui tragici avvenimenti famigliari, il cui ricordo è rimosso ma sempre presente nella sua coscienza. Forse per dare una svolta alla sua vita accetta l'invito del fratello Taka  di tornare al villaggio ai bordi della foresta "possente", dove era la casa della famiglia e dove sono cresciuti da bambini. E' un ritorno al passato: per Mitsui la disperata speranza di cambiamento, che si traduce nella definitiva consapevolezza della sua estraneità dal mondo, per Taka il desiderio di autopunirsi ripercorrendo vicende drammatiche che hanno coinvolto la famiglia. Nel 1860, alla caduta dello Shogunato, il fratello del bisnonno aveva guidato una rivolta contadina, repressa poi nel sangue; alla fine della seconda guerra, sempre nel villaggio, era morto un fratello in uno scontro tra giapponesi e coreani, quest'ultimi prigionieri di guerra. Volendo ripercorrere le gesta dello zio e del fratello, Taka decide di condurre gli abitanti del villaggio a saccheggiare il locale supermercato, di proprietà di un coreano, detto "L'imperatore" (forse per dargli un valore sacrale, lui coreano!).  Mitsui si tiene estraneo agli avvenimenti, raggomitolandosi ancora di più nel suo torpore, Taka emerge invece come un leader vigoroso e astuto; è invece una  messinscena con cui Taka vuole punirsi per una grave colpa: ancora ragazzo, ha violentato la sorella disabile, spingendola così al suicidio. Taka confessa un omicidio non commesso e poi, non creduto da Mitsui, si uccide. << Sembrava un fantoccio di gesso di statura naturale, completamente rosso e vestito solo di pantaloni.>> Grida la moglie a Mitsui, che cerca di giustificarsi. << Tu rifiuti le persone e le lasci morire e l'unica cosa che sai fare per rimediare é gridare in sogno: "Vi ho abbandonati!" (...) Nelle tenebre profonde del sotterraneo, agitate da vorticosi mulinelli di vento, vidi gli occhi di un gatto morente. (...) Mentre li contemplavo nell'oscurità, gli occhi del mio gatto, compagno di lunghi anni, diventarono gli occhi di Taka, gli occhi del fratello del bisnonno che non avevo conosciuto e gli occhi di mia moglie, rossi come susine; e tutti si unirono in un cerchio luminoso che stava rapidamente affermandosi come una parte innegabile del mio essere. (...) E io sarei sopravvissuto in un'agonia di vergogna, sotto la luce di quelle stelle, scrutando con il mio unico occhio e la timidezza di un topo un mondo esterno vago e buio...>>

L'ambiente è simile a quello di "La foresta d'acqua" (vedi la recensione in questo sito), alcuni riferimenti storici sono analoghi, come le rivolte contadine del 1860, ma profondamente diversa è la struttura narrativa. A differenza di quanto avviene in "La foresta d'acqua", qui l'io è ridondante così come sono intricate le relazioni familiari, che si sviluppano su due assi: il rapporto tra Mitsui e Taka, un misto di affetto e ribrezzo, la relazione del primo con la moglie, apparentemente in secondo piano. << Rimanendo in silenzio per un po' e poi, fissandomi con occhi pieni di disperata ostilità e questa volta rossi per le lacrime invece che per il whisky, mia moglie mi disse: "Quando verrà il momento in cui, come dici tu, dovremo riconoscere che non si può più tornare indietro, forse allora saremo un po' più gentili l'uno con l'altro!".>> Pur nel complesso intreccio di temi e livelli narrativi, forse il senso unitario del romanzo è l'accettazione del figlio disabile, unica possibilità per ricostruire una relazione lacerata dal destino impietoso.

La narrazione si sviluppa lentamente, con numerosi rimandi e incisi, come se l'autore abbia avuto timore di scoperchiare troppo in fretta il fondo della coscienza. Si rimane avvinti dal fascino delle parole, capaci di suggestioni psicologiche e sociali; sovrasta una sensazione di oppressione claustrofobica, non s' intravedono sviluppi e conclusioni, la lettura diviene pesante e si arriva con fatica alla fine del romanzo.

Perchè leggerlo? Una scrittura splendida, il fascino del dolore e della morte.

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