Giovanna, l'io narrante, è un' adolescente che vive in un bel quartiere di Napoli con genitori istruiti e di sinistra: il padre professore universitario, la madre insegnante di liceo e traduttrice. Pure la coppia di amici che frequentano ha le stesse caratteristiche: anche lui docente universitario, abituale compagno di accese discussioni con il padre, lei signora della buona società, sempre elegante e spesso con uno splendido braccialetto. Ci sono poi le loro figlie, amiche e confidenti di Giovanna. Una bella famiglia borghese, quindi ! La ragazza comincia a non andare bene a scuola e origlia alla porta una frase del padre. "l'adolescenza non c'entra: sta facendo la faccia di Vittoria. (...) Fu così che a dodici anni appresi dalla voce di mio padre, soffocata dallo sforzo di tenerla bassa, che stavo diventando come sua sorella, una donna nella quale-- gliel'avevo sentito dire fin da quando avevo memoria--combaciavano alla perfezione la bruttezza e la malvagità". Sorge in Giovanna il desiderio irrefrenabile di conoscere zia Vittoria, tanto odiata dal padre che in una foto di famiglia la sua immagine era stata tagliata. Voleva sapere se le brutte parole del padre erano dovute solo ad un dispiacere momentaneo o lui, così accorto, avesse individuato "i tratti di un mio guasto futuro. (...) Volevo capire se mia zia si stesse davvero affacciando attraverso il mio corpo: le sopracciglia foltissime, gli occhi troppo piccoli e di un marrone senza luce, (...) il labbro superiore corto con una disgustosa peluria scura, (...) il mento aguzzo e il naso, ah il naso, come si protendeva senza garbo verso lo specchio, (...) erano già elementi del viso di zia Vittoria, o miei e soltanto miei? (...) Ero io o l'avanguardia di mia zia, lei in tutto il suo orrore? " Giovanna non si rende conto che il viaggio che sta intraprendendo, la conoscenza della zia e del suo mondo (i quartieri popolari di Napoli), non sarà solo la conferma o meno delle radici della sua presunta bruttezza: sarà una discesa verso la demolizione dei suoi genitori, la privazione della madre e l'estraneità del padre. Le figure genitoriali, prima viste come un olimpo di perfezione e di esempi da imitare, si sgretolano fino a dissolversi. "Cosa succedeva, insomma, nel mondo degli adulti, nella testa di persone ragionevolissime, nei loro corpi carichi di sapere? Cosa li riduceva ad animali tra i più inaffidabili, peggio dei rettili?" Non è la scoperta della torbida relazione che lega i genitori alla coppia di amici: il padre ha da anni come amante la moglie del collega, il quale a sua volta tresca con sua madre; e neanche l'oscura storia del braccialetto indossato con tanta visibilità dall'amante del padre: in modo poco chiaro esso pervenne a zia Vittoria, la quale lo voleva dare in dono a Giovanna ma il padre lo regalò all'amante. Sono le parole a devastare la fine dell'infanzia: il tempo dell'adolescenza sarebbe lento, "fatto di grandi blocchi grigi e improvvise gibbosità di colore verde o rosso o viola. I blocchi non hanno ore, giorni, mesi, anni, e le stagioni sono incerte, fa caldo e freddo, piove e c'è il sole. (...) Appena cerchi le parole, la lentezza si muta in vortice e i colori si confondono come quelli di frutta diversa in un frullatore".
Ed ecco siamo arrivati al cuore della questione, il tema della cultura. A differenza di Confucio che ritiene la cultura la chiave per cogliere "il senso dell'umanità reciproca", Elena Ferrante pare essere della mia opinione: la buona istruzione scolastica, il possesso del linguaggio, la consuetudine con i libri e con gli ambienti culturalmente impegnati, sono una gabbia che imprigiona i sentimenti, li sommerge sotto l'abile gioco semantico, crea apparenza e non sincerità. Il problema è che Giovanna, pur riconoscendo in zia Vittoria la forza prodigiosa della schiettezza (l'odio espresso senza filtri, l'intimità, le emozioni traboccanti, l'autenticità del vivere), si innamora comunque di un intellettuale, del quale è affascinata dalle parole, oltre che dall'aspetto. Cultura falsa chimera! Non si conosce l'umanità con il pensiero, lo si coglie con l'empatia. Per fortuna irrompe zia Vittoria e la salva. "Hai sentito, Giannì, qua ti chiamano bambina. Ma tu sei una bambina? E' allora perché ti metti tra Giuliana e il fidanzato? Rispondi, invece di rompere il cazzo con il braccialetto. Sei peggio di mio fratello? Dimmelo, ti sto a sentire: sei più presuntuosa di tuo padre?"
Il libro è un romanzo di formazione. E' intrigante all'inizio e crea nel lettore l'aspettativa di zia Vittoria: è l'attesa di un personaggio caratteriale, viscerale e sanguigno. Ed invece questa figura resta a latere, talvolta richiamata nella trama ma mai protagonista. Il racconto si svolge o meglio rotola lungo una vicenda banale e un sistema fragile di personaggi. Non appoggiandosi alla trama e ai caratteri, alla complessità dei loro legami come nell'Amica Geniale, la scrittua rileva tutti i suoi limiti: scorrevole, ma fiacca, senza tempra, superficiale come la storia.
Perché leggerlo ? Chi si è innamorato dell'Amica Geniale non può perderlo.