Tra i migliori che ho letto!
ma non lo rileggerei

Il Disertore

scritto da Lenz Siegfried
  • Pubblicato nel 1952
  • Edito da Neri Pozza
  • 246 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 23 settembre 2019
E' un grande romanzo contro la guerra; richiama altri due libri sull'argomento, entrambi recensiti in questo sito: Matterhon di Karl Marlantes ambientato nella guerra del Vietnam e Niente di nuovo su fronte occidentale di Erich Remarque. Se il primo è un racconto epico, una sorta di Iliade moderna che dimostra l'inutilità della guerra come occasione di cambiamento sociale ( sfatando un grande mito !), se il secondo è una discesa agli inferi dove nella trincea sopravvivono dei "morti viventi", "Il Disertore" narra la vicenda di un soldato tedesco, che prende coscienza dell'assurdità del nazionalismo, della tragedia nella quale è coinvolto e crede di trovare una soluzione passando dall'altra parte, a combattere tra i partigiani. Siamo nella seconda guerra mondiale in Polonia; un piccolo avamposto tedesco deve presidiare una ferrovia in un territorio ormai in mano al nemico. Isolati, abbandonati e sfiduciati, "la natura selvaggia guardava con innocente voluttà quei soldati che, a osservarli da buona distanza, non avresti detto in preda ad ansimi, a gemiti, e vicini alla disperazione; da lontano apparivano anzi più simili a figure che si trovano talvolta rappresentate al mercato delle vecchie incisioni, e si muovono allegre, senza meta, libere da ogni gravità". Proska si ritrova per caso in questo drappello; viaggiava su un treno verso il fronte orientale quando una bomba ha distrutto il convoglio; salvatosi per miracolo si inquadra, naturalmente da bravo soldato, in una piccola squadra, agli ordini di un sottoufficiale maldestro, autoritario e violento; il comando militare è lontano. E' una umanità variegata, dallo spilungone un po' scemo ad un ex mangiatore di fuoco che ha come amica una gallina sino ad un giovane studente, oggetto degli scherzi sadici del capo. Come in Matterhon e in Niente di nuovo sul fronte occidentale è la fratellanza a cementare il gruppo, mentre il patriottismo è visto ormai come una fregatura. "Lo chiamano senso del dovere, disse con disprezzo Pandilatte (un soprannome per Wolfgang il giovane studente), ce l'hanno iniettato nel sangue. E con quello ci hanno squinternato, levato l'indipendenza. (...) Contagioso è il risentimento nazionalista. Un risentimento che è la radice della presunta superiorità tedesca e la fonte di questo stramaledetto senso di predestinazione". Poche parole, e soprattutto gli effetti mortiferi di un delirio di onnipotenza, demoliscono quella missione universale, di cui parlava Thomas Mann, e che ha infettato la società tedesca. Ed è per questo, e per la storia che racconta, che il romanzo dovette attendere a lungo prima di essere pubblicato. In guerra per il soldato innanzitutto bisogna salvarsi, e non si può fare se non si dà la morte. "Svelto il grilletto è impaziente; ha una  gran sete di morte. (...) Ancora una sventagliata. Tutto e ventotto. Che altro aspetti ? E i colpi lasciarono la bocca e rasarono le canne. (...) Il fiume, faccia di tolla, spingeva zitto la sua acqua al mare, passava prati e boschi svettanti, passava i seni granitici dei ponti, passava le piccole e grandi città, passava, passava. Un uomo sognava sua moglie. Acqua passata. Sognava un figlio. (...) Tutta acqua passata: il fuoco scaturito dalle labbra, i desideri sgorgati dagli occhi; la tenerezza, la fedeltà incrollabile e l'angoscia nel petto. Solo la coscienza non inaridisce, questo fiero, aspro paesaggio di giustizia, questo fortino contro il rimorso". Porska osserva un giovane partigiano, che cammina come se stesse facendo "una passeggiata sentimentale". Non vorrebbe sparargli ma "siamo costretti a ubbidire alla guerra anche se la odiamo come la peste". Non c'è una alternativa alla guerra ed è questa sentimento, insieme alla disillusione e all'opportunistica ricerca della sopravvivenza, che spinge Porska a passare a combattere con i partigiani.  Dall'altra parte della barricata la vita è "altrettanto grigia, per nulla migliore". Porska fa comunque il suo dovere,, come lo aveva fatto da soldato tedesco. E spara, dà la morte senza neanche sapere chi ha di fronte. Con la grande avanzata dell'armata rossa verso occidente Porska giunge alla casa di sua sorella e, senza intenzione, d'istinto, uccide il cognato, il quale, senza riconoscerlo, anche lui d'istinto, puntava la canna di un fucile contro di lui. Quando Proska se ne accorge nasconde il cadavere: la sorella crede per anni che il marito sia un disperso. "Maria vuole certezze. Solo tu gliele puoi dare, Proska, Devi dargliele. (...) Una volta che saprai dove dormire, una volta che avrai trovato dove poter stare da solo con te stesso e le tue lunghe giornate, una volta che saprai che tutte le strade desiderano essere percorse  fino in fondo: allora, Proska, dovrai scriverle. Lo farai. Devi".

Un povero uomo, un uomo di qualità ma troppo piccolo per prendere la decisione giusta, si trova, suo malgrado, in mezzo alla guerra. Reagisce come può e diviene disertore non per scelta, per necessità, perché in guerra si deve dare comunque la morte. E' questo il grande messaggio del libro: alla violenza non si può rispondere che con la non violenza, se si vuole salvare la propria coscienza. E' un illusione, un struggente anelito, sperare che si possa sprofondare "nelle paludi remote dell'oblio", o che si possa rimediare al male con altro male. Solo una scelta di pace può dare veramente la serenità.

E' un romanzo pressoché perfetto: costruito sapientemente in un giusto dosaggio tra trama, personaggi e paesaggio; attraversato da una intenso afflato pacifista, non declamatorio ma espresso tramite le storie di povera gente, soldati loro malgrado: "l'orologio che ogni guerra/stringe fra le grinfie rosse/sgoccia giù per le lancette/i minuti dei suoi soldati/e l'orgoglio della vita/cade muto, neanche un'eco,/e il vento rapisce i nomi/sull'altalena dell'oblio".

Perché leggerlo ? Un capolavoro.

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