Gradimento Medio
e non lo rileggerei

Romanzo Criminale

scritto da De Cataldo Giancarlo
  • Pubblicato nel 2002
  • Edito da Einaudi
  • 628 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 27 dicembre 2014

Siamo nella Roma degli anniʼ70 e 80, in unʼ Italia che si affaccia alla società dei consumi ed è attraversata dal terrorismo e da disegni eversivi.
Alcuni giovani della periferia romana decidono di "affermare in modo indiscutibile una signoria destinata a durare per sempre sulla Vecchia Mignotta".
Da sbandati si fanno banda e diventano i padroni di Roma: sono la famosa Banda della Magliana.
A dare forza al gruppo sono lʼamicizia, un leader (il Libanese) e " il sogno di contare finalmente qualcosa, tutti insofferenti dei vecchi capi e degli stranieri che vengono a spadroneggiare in casa nostra.
Tutti accesi dalla fantasia di prendersi una buona volta la vecchia mignotta eterna con tanto de lupa e gemellini.
(...) Ma neanche questo era del tutto vero.
Di là da tutti i programmi, ben oltre la ragione, il cemento di ogni cosa era lʼazione".
Non cʼè quindi da stupirsi se la loro ideologia politica sia quella fascista, se il gruppo graviti intorno allo squadrismo nero.
Nella loro corsa verso il dominio criminale della città, la banda fa i conti, e si allea suo malgrado, con una serie di organizzazioni e personaggi di contorno: la mafia e la camorra, che riconoscono alla banda il controllo di Roma, ma ne decidono i confini e se ne servono per i loro fini criminali; gli intermediari, che permettono di riciclare il denaro sporco in affari puliti o quasi; le istituzioni (la polizia, la magistratura, gli avvocati, il carcere), che in qualche modo favoriscono le azioni criminali della banda, talvolta inconsapevolmente per una visione legalistica della giustizia e molto più spesso perché sono colluse, corrotte ed acquiescenti.
Ma sopra il tutto cʼè il Vecchio, che "comandava unʼunità informativa (dei Servizi Segreti) dal nome neutro (e giocava) a disordinare il mondo".
È il grande burattinaio e la banda uno dei burattini: "prendi un deviante o supposto tale, lo fai deviare, lo afferri mentre sta deviando.
(...) E adesso teneva il Libanese e i suoi ragazzi.
Per farne cosa ? Per giocarci, naturalmente".
Lʼunico ad accorgersi della trappola è il Freddo, il "puro" della banda, che urla al Libanese: "così adesso stiamo sotto padrone ! E che padrone, poi ! Lo Stato ! Lo Stato sporco !"Nellʼapatia e codardia generale lʼunico a contrapporsi alla banda è un commissario di polizia: Nicola Scialoja.
A lui è chiaro, sin dallʼinizio, che si è di fronte ad unʼorganizzazione criminale, e non semplicemente ad una banda di piccoli delinquenti, che "la droga era la chiave di tutto.
(...) Chi controlla il mercato della droga controlla la città.
I ragazzi del Libanese controllavano la città"; e lentamente capisce che dietro alla banda cʼè un burattinaio, il quale manovra da un oscuro ufficio dei Servizi Segreti.
Scialoja è lʼeroe positivo: caparbiamente combatte la banda; viene sconfitto, tradito, denigrato, ma non abbandona la presa.
Assiste al disfacimento della banda della Magliana.
Il Libanese viene ucciso e da quel momento si rompono i legami che tenevano unito il gruppo: i ragazzi "andavano su strade diverse.
(...) La lealtà del gruppo diventava lealtà dei gruppi".
Scialoja sa che la banda diviene più fragile, cerca di colpirla in tutti i modi, ma finché il Vecchio la protegge, tutti i suoi sforzi si infrangono sul muro dellʼomertà, della corruzione e della collusione.
Scialoja sconfigge la Banda della Magliana solo dopo che il Vecchio, ormai morente, lo designa come suo erede, cooptandolo come capo del suo oscuro ma potentissimo ufficio.
"Lui aveva il diario del Vecchio ! Era il depositario della storia segreta della Repubblica.
(...) Poteva praticamente tutto.
Aveva il potere.
(...) Ma mentre si infilava in ascensore, (...) provò una piccola, dolorosa fitta in fondo al cuore.
Nel momento del trionfo, da quali mai oscuri recessi del passato affiorava questo incomparabile senso di sconfitta ?"

Il racconto può essere letto da differenti punti di vista: cronaca romanzata di vicende reali, affresco desolante della società italiana e di Roma in particolare, dolorosa e rassegnata denuncia del male oscuro dellʼItalia: "la perversa connessione tra politica, malavita, imprenditori marci, Servizi segreti deviati ....
quando questo cancro sarà estirpato ...
se sarà estirpato ..." .
Cʼè una chiave di lettura più semplice: la storia di un gruppo di ragazzi, del loro desiderio di ribellione e di libertà, e di come i loro sogni, e la loro amicizia, si infrangono nella palude romana del denaro, della droga, dei compromessi.
Quando Roberta, "dopo aver fatto lʼamore, gli chiese per lʼennesima volta perché facesse tutto questo, (il Freddo) riuscì a trovare la risposta sincera: perché così me sento libero".
Nel prologo, un superstite della banda, dopo aver ucciso a sangue freddo un piccolo delinquente, "indifferente ai pianti, al rumore dei passi, alle sirene che sʼavvicinavano, gli volse le spalle, e puntata lʼarma contro la luna bastarda urlò, con quanto fiato aveva in corpo: io stavo col Libanese !"

Il contesto è il pregio fondamentale del libro.
I difetti sono i personaggi e la trama.
I primi sono degli stereotipi, esaminati in modo superficiale, forse perché lo scrittore non privilegia le vicende di alcuni rispetto a quelle di altri: tutti si affollano sullo stesso piano e tutti scompaiono e ricompaiono facendo perdere al lettore il filo dello loro peripezie e dei loro sentimenti.
La trama si evolve lentamente, senza sorprese, in modo ripetitivo: passano gli anni, si evolve la banda, ma i fatti sembrano sempre gli stessi, come se gli atti criminali siano monotoni, perché sempre uguali a sé stessi; se non cʼè un grande scrittore, che li dà spessore e ritmo, sopraggiunge la noia.

Perché leggerlo ? È una parte della nostra storia, ma il romanzo è alla fine prolisso e noioso.

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