Così come "Per le Antiche Scale", il libro è ambientato in un manicomio e il protagonista, nonché l’io narrante, è un medico psichiatra.
Non esiste una trama ma si tratta di una narrazione frammentaria, costituita dalla descrizione di singoli personaggi, donne per lo più, della struttura: pazienti, infermiere, suore e contadine, che appartengono alla campagna che circonda il manicomio.
Alcune di queste, come Lella, svolgono un ruolo non passeggero nel racconto, ma in generale tutte sono assorbite dalla follia, quasi che fosse difficile distinguere tra sanità e pazzia.
"Con i matti che comunicano le loro leggi io con facilità mi accomodo, si cammina sullo stesso binario e se un improvviso spettatore dovesse subito giudicare chi dei due è il malato si troverebbe incerto; e tale mio esercizio,che dei giorni ripeto con frequenza, mi stanca e ritorno al mio andito con la nebbia di una vaga angoscia,quasi un convalescente, come se quei minuti che mi trasferivo nella mente del matto, abbandonando la mia, fosse come andare nell’inferno, vivere nei gironi, avere oltrepassato le fredde acque dell’Ade, e ritornassi alla vita con l’anima ancora ghiacciata dalla morte".
Si tratta, quindi, di una serie di episodi, che, pur nella loro specificità e apparente disordine (quasi di diario), permettono di individuare alcuni filoni narrativi:la dolcezza e la meraviglia che traspaiono dai ritratti.
Non è il medico che scrive né si è alla ricerca di un impronta ideologica; i singoli personaggi sono descritti con affetto, talvolta con ironia, ma sempre con la forte consapevolezza che dalla pazzia non si esce.
Emerge il tema dell’erotismo, traspare in modo chiaro come la solitudine sia spesso alla base di un percorso che conduce alla pazzia, ma quest’ultima è anche un destino inevitabile, che accumuna poveri e ricchi.
Emblematica è la figura di Lella, che sembrava essere uscita dalla malattia, ma poi basta che all’oggetto del suo desiderio (un affetto meramente sognato) sia interessata un’altra donna per ricondurla verso una crisi depressiva e quindi di nuovo nella pazzia.
L’equilibrio è sempre instabile.
"La donna ha il volto assai bello e stranamente, benché così implori, sembra che sia sul punto di ridere e a certi tratti ride come in una felice ebbrezza, come in quel momento toccata da una gioia amorosa".
Ma la pazzia si nasconde.
"È stata forse quella donna, una ultra fiorente donna bionda, esuberante e prepotente; essa da diversi giorni era garbata, accondiscendente con dolcezza ad aiutare ogni servizio del reparto; addirittura come una monaca senza peccato accudiva con ogni pietà un’altra malata bizzosissima.
E stamani ho letto una sua lettera diretta al marito dove le parole dichiaravano il suo animo che brama violenza ed omicidio";la serenità del paesaggio toscano, quasi in contrasto con la violenza e il disordine del manicomio.
"La pianura di Lucca sfavilla le messi dal prorompere della primavera fino all’autunno; riposa in una profonda ellissi circondata da monti che si stagliano limpidi in cielo.
La pianura lucchese d’estate è un muovere-ondeggiare di verde ridente, un conversare spiritoso con ogni frutto e gemma e la vista varia e danza e si perde e si rinfranca e per nulla i monti che lontanamente circondano ostacolano quella letizia";il dolore esistenziale del protagonista, la cui angoscia è frutto nel contempo di se stesso e della vita del manicomio: il legame tra la sua esistenza e le vicende dei matti sembra essere l’unico motivo per superare unʼangoscia che, altrimenti, risulterebbe insopportabile.
"La mia vita è qui, nel manicomio di Lucca.
Qui si snodano i miei sentimenti.
Qui sincero mi manifesto.
Qui vedo albe, tramonti, e il tempo scorre nella mia attenzione.
Dentro una stanza del manicomio studio gli uomini e li amo.
Qui attendo: gloria e morte.
Di qui parto per le vacanze.
Qui, fino a questo momento, sono tornato.
E il mio desiderio è di fare di ogni grano di questo territorio un tranquillo, ordinato, universale parlare".
Ma c’è una speranza, l’amore tra le creature: tutto ciò permette allo scrittore di dire che c’è, forse, una via di uscita dalla pazzia e dall’angoscia esistenziale.
"E della Lellina spero di non dirne più niente essendo assai, se il cielo mi ha aiutato, le parole che ho detto".
Il libro, bellissimo, è caratterizzato da uno stile elegante, un po’ da studi classici, ma che riesce in modo mirabile a rendere un clima sognante, quasi che ciò che si narra non sia vero ma frutto dell’immaginazione e del desiderio dell’autore.
La costruzione delle frasi, l’uso degli aggettivi, le parole, spesso di forte impronta toscana, contribuiscono a rendere piacevole la lettura, pur valorizzando la drammaticità dei contenuti.