Gradimento Medio-alto
ma non lo rileggerei

L'attentatrice

scritto da Khadra Yasmina
  • Pubblicato nel 2005
  • Edito da Mondadori
  • 232 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 27 novembre 2012

" Come accettare di restare ciechi per essere felici, come voltare le spalle a se stessi senza trovarsi di fronte alla propria negazione ? ...
non si restituisce la grazia alla rosa che si trapianta in un vaso, la si snatura; si crede di abbellire il salotto, in realtà non si fa che sfigurare il proprio giardino".
Amin, un arabo israeliano, è un brillante chirurgo, felicemente integrato nella buona società di Tel Aviv.
Dopo un devastante attentato ad un ristorante, nel quale muoiono numerosi civili, tra cui molti bambini, Amin scopre che il kamikaze è sua moglie, Sihem, la donna, che " ha cullato i miei anni più teneri, abbellito i miei progetti di ghirlande luccicanti, colmato la mia anima di dolci presenze.
Non ritrovo più niente di lei in me e neanche nei miei ricordi".
Come è possibile che sua moglie sia una fanatica omicida ? Per alcune pagine sembra che il romanzo prenda una piega intimistica: i segreti che si celano nei rapporti di coppia.
Poi, il racconto riprende la direzione maggiormente esistenziale e sociale.
Amin vuole conoscere chi ha convinto sua moglie, sicuro che Sihem sia stata plagiata da qualcuno.
Va nei territori occupati, in mezzo alla guerra tra Palestina ed Israele, dalla quale ha cercato disperatamente di sfuggire.
Come gli dice un terrorista, " il signor dottore vive accanto a una guerra, solo che non vuole sentirne parlare.
Pensa che nemmeno sua moglie debba preoccuparsene ....
Bene, il signor dottore ha torto".
I sogni di Amin si infrangono sulla spietata constatazione che sua moglie ha agito per una sua decisione, perché " doveva covare odio dentro di sé da sempre, da prima di conoscermi .....
aveva dentro di sé una ferita così brutta e atroce che provava vergogna a confidarmela; il solo modo di liberarsene era distruggersi con quella".
Ma forse, molto più razionalmente, la verità sta in ciò che scrive Sihem nella lettera di addio: " a che cosa serve la felicità quando non è condivisa.
Nessun bambino è al sicuro senza una patria ".
Il viaggio nei territori occupati è per Amin anche un ritorno alla infanzia, alla sua gente.
Il racconto non ci dice se anche Amin prenda consapevolezza del dramma del suo popolo, sappiamo solo che muore, casualmente o volutamente ?, in una carneficina commessa da un drone israeliano per uccidere un leader religioso.

Con grande abilità narrativa, il romanzo si apre e si chiude con la carneficina nella quale trova la morte il protagonista.
Secondo alcuni critici, la morte di Amin, inesplicabile nella trama del racconto, sarebbe la metafora di un conflitto senza fine e della distruzione di un popolo, quello palestinese.
È una chiave di lettura troppo semplice per un romanzo complesso, che non vuole prendere posizione, né contro né a favore dei due popoli in lotta.
Conferma questo giudizio la positività di alcuni personaggi israeliani, come la tenera amica di Amin, e lʼalternarsi di un linguaggio familiare con quello poetico e, per lunghi tratti, predicatorio.
Il ritmo narrativo è serrato, i dialoghi sono fitti ed efficaci, lʼambiente israeliano e i suoi personaggi sono illustrati in modo convincente.
Disturbano invece i soliloqui di carattere politico, come quelli del leader religioso e del capo terrorista, che emergono falsi e convenzionali.
Anche lʼambiente palestinese risulta artefatto.
È evidente che lʼautore si trovi più a suo agio in un ambiente urbano, di carattere occidentale.

Perché leggerlo ? La lettura è avvincente.

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