Gradimento Medio-alto
ma non lo rileggerei

La miglior vita

scritto da Tomizza Fulvio
  • Pubblicato nel 1977
  • Edito da Club degli Editori
  • 277 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 20 settembre 2014

Il romanzo è ambientato in un piccolo villaggio dellʼIstria, in un arco di tempo che va dallʼinizio del novecento agli anniʼ70.
Il racconto attraversa le grandi vicende del secolo appena trascorso: gli ultimi anni dellʼimpero austriaco, la prima guerra mondiale, lʼannessione allʼItalia, la guerra partigiana ed infine la collocazione nella Jugoslavia, a seguito del trattato di pace del 1947.
Sono avvenimenti storici di grande impatto per una comunità ai confini, composta di croati e di italiani: i primi in maggioranza e generalmente poveri contadini, i secondi una minoranza di ricchi proprietari.
Ma non è il tema sociale che interessa lʼautore, anche se, ovviamente, traspare continuamente lungo la narrazione, soprattutto nel frequente ricorso alla mescolanza linguistica di croato e di italiano, uno dei tratti più attraenti del libro.
Il tema del racconto è tutto interiore e può essere ricondotto ad un argomento: la religione e la sua funzione per lʼindividuo e per una piccola comunità.
Tomizza immagina che un anziano sagrestano narri la sua vita, e quella dei suoi compaesani, attraverso la storia dei parroci, che si sono succeduti nel corso degli anni.
"Con quanti preti non avevo avuto a che fare: preti con madri, con sorelle, con perpetue, e preti soli.
Nelle ore insonni mi giravano davanti agli occhi come una giostra che specchiava me e al tempo stesso la situazione politica del loro periodo.
Arzigogolavo nel buio che ognuno avrebbe potuto mostrarmisi migliore e ognuno peggiore, a seconda dei tempi ma anche in virtù di un mio diverso modo di essere e di valutarli.
(...) Perché rimanevo ? Difficile rispondere oggi, perché difficile è trovar credito.
Sentivo di servire la chiesa e con essa di servire la comunità, non i preti destinati tutti a passare.
Mi ero sposato con quel servizio, con quel dovere, prima ancora che con Palmira, e tutto il resto veniva dopo, Palmira compresa.
Ma intendevo assolutamente aprire unʼaltra strada a nostro figlio, e questo impegno anche agli occhi di lei in parte mi riscattava".
Questa citazione sintetizza il lungo percorso del protagonista - narratore, che lo porta ad allontanarsi dalla religione, mentre assiste alla decadenza della parrocchia, che serve per tutta la vita.
"La chiesa è un edificio come un altro, finirà comʼè prevedibile, senza destare grandi impressioni: in cima alle colline si vedono ancora muri di chiesette dei secoli passati, avvolte dai rovi.
Ma da allora ci fu una ripresa, e la gente ritornò anche nei campi.
Succederà ancora ? Ne dubito." Nato da un sagrestano, lo diviene ancora giovane.
I preti che si susseguono sono profondamente diversi tra loro: alcuni ignoranti e rozzi, altri prepotenti ed arroganti, altri ancora fragili individui, pronti a peccare con il vino e le donne.
Solo uno, un giovane prete croato, sembrò rispecchiare ciò che ci si aspetta da un sacerdote.
Ma poi, quando lo rivedrà vescovo, si accorgerà che anche lui è diventato falso ed ipocrita.
"Da lui mi sarei aspettato di sentire, o perlomeno di leggergli in volto, il disinganno, le ulcerazioni che non potevano non essersi prodotte.
(...) In altri tempi non sarebbe stato più fiero, se non più pietoso ?".
Ed allora al vecchio sagrestano, senza più un parroco da servire, non rimane che essere il cronista della sua gente.
Nelle ultime pagine del libro, estremamente suggestive, il protagonista racconta le vicende di alcun suoi compaesani, come la gnagna Zvana Zuncolin, "donnetta curva e nera", o Michelin, un tempo " un bellʼuomo scuro con gli occhi da zingaro", che ha trascorso una vita da ubriacone per dimenticare la donna amata: è rimasto famoso per una frase, "per lʼuomo non ci sono pezzi di ricambio".

Lo stile narrativo non è sempre facile, ma la lettura è spedita perché si rimane avvinti dalla storia di una comunità, prima isolata e nascosta, poi sempre più coinvolta dai grandi avvenimenti.
Nel racconto di Tomizza, mai folcloristico e nostalgico, la religione si mescola con le ancestrali usanze pagane e con i nuovi costumi, apparentemente laici ed anticlericali.
È la chiesa è sempre lì, "in qualche modo presente e basta", con i suoi registri, di nati e di morti, scritti un poʼ in croato e un poʼ in italiano, con calligrafie chiare ed oscure: una presenza, dalla quale il protagonista vorrebbe sfuggire, ma non può, perché "aderiva perfettamente a quella che da sempre avevo imparato a conoscere e per comodità uso chiamare (vita) ordinaria, ma non vi combaciava del tutto pur incantandomi, pur aiutandomi a scoprire tratti nascosti o non rilevati della vita vera".
Ma in questo accontentandosi del "proprio pieno potere", la religione non risolve il mistero della morte, lasciando lʼindividuo solo e dubbioso nel momento più grave della vita.
"Scende sulla terra il vuoto dei cieli o su di noi si spalanca la miglior vita ? Questo non sapevo, che il mondo muore a ogni morte di un uomo".

Perché leggerlo ? Lasciatevi incantare dalla storia di una vita ordinaria, in un piccolo villaggio dellʼIstria, tra Croazia ed Italia.

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