Gradimento Medio
e non lo rileggerei

Il bambino del treno

scritto da Casadio Paolo
  • Pubblicato nel 2018
  • Edito da Piemme
  • 238 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 27 maggio 2018

Troppo spesso dimentichiamo lʼimportanza dei luoghi per la nostra vita, per la formazione dei nostri sentimenti, per la trasmissione di una memoria individuale e collettiva.
Come dice Paolo Casadio, i muri, gli oggetti, i paesaggi hanno il compito di testimoniare il passato, di farlo sopravvivere a noi stessi, anche se "i muri sanno, ma non posso mai dire nulla, solo farsi carico di tanto peso nella loro muta immobilità".
Talvolta non sono posti noti o di particolare pregio, sono dei "non luoghi", come la dismessa stazione di Fornello sulla linea ferroviaria Firenze - Faenza.
È con un "groppo di angoscia", che la osserva Lucia, la moglie di Giovannino il nuovo capo stazione: "quel posto affacciato al viadotto, quello slargo di alberi e ginestre attorno alla stazione, quella profondità dietro al fabbricato che poteva nascondere una fenditura o un torrente, quelle stratificazioni di marna che affioravano potenti tra la gariga le rimandavano il quadro di un esilio, il sentimento di unʼostilità invincibile".
Sono gli anni tra il 1935 e il 1943, ed invece, forse per un oscuro presentimento, e per un carattere naturalmente timoroso, Giovannino vive lʼisolamento come una protezione verso il mondo esterno.
"Il monte di Castelpotente vigilava sulla valle, e quel monte stava lì da quando il fondo del mare sʼera sollevato dando luogo allʼAppennino.
Non sarebbe successo nulla.
E non succederà mai nulla, signor capostazione.
Noi, qui, siamo dimenticati." Così disse il cieco di Piandolci, come un antico vate.
Fornello e la piccola famiglia, Lucia e Giovannino con il bambino Romeo, sono la metafora del familismo italiano, di una strategia di vita che racchiude tutto nel mondo degli affetti e nei luoghi vicini e sempre uguali; ma noi sappiamo che è unʼ illusione, una vana e pericolosa speranza.
Con un ritmo lento e sognante il romanzo ripercorre lʼinfanzia del piccolo Romeo: lʼambiente della montagna, la scuola di paese con maestri e compagni inimmaginabili per noi cittadini, le relazioni con le famiglie contadine, lontane nello spazio ma vicine nei sentimenti.
È un mondo meraviglioso per un bambino, dove i pochi pericoli rientrano nellʼordine eterno delle vicende e delle cose.
La natura è amica, in fondo, anche quando cʼè la bufera, o i campi, i sentieri e le case sono sommerse dalla neve.
Tutto cambia, quando irrompe sulla scena il dramma più terribile della seconda guerra mondiale: la deportazione degli ebrei.
Un treno carico di povera gente, destinata alla morte, si ferma per una notte nella piccola stazione di Fornello.
Viene concesso di scendere dal treno e dormire e rifocillarsi presso Lucia e Giovannino.
Romeo fa amicizia con una bambina: una infantile infatuazione che potrebbe avere un esito drammatico.
"Ancora non lo sa ma di niente, in fondo, cʼè significato se non quello che vi attribuiamo noi, giacché tutto scompare.
È cresciuto davvero, costituendo lʼavvenimento vissuto una sorta di prova iniziatica: è entrato nella terra delle perdite e dei rimpianti, e non cʼè nulla di più adulto che comprenderne lʼirrimediabilità e il senso.
E il senso, in quel dicembre 1943, è davvero difficile da trovarsi".
È un romanzo sullʼinfanzia, con sottostante una domanda inquietante per noi adulti: è possibile essere fanciulli ? No, se persino in uno sperduto paesino dellʼAppennino un bambino non può crescere sereno.
Sembrerebbe che la colpa di questa infelicità esistenziale sia tutta di un mondo esterno impazzito, sia responsabilità degli altri, contro i quali nulla possono fare gli affetti familiari e le amicizie né la natura benigna.
È proprio vero ? Non possiamo svelare il finale; possiamo dire con lʼautore che siamo tutti impotenti "a cambiare il corso delle cose, neutralizzare lʼaccanimento ostile del destino che sovente si tramuta in sentenze inappellabili".
E non rimangono che "lʼabbraccio, il coinvolgimento, la povera consolazione, (...) la comunanza nel dolore."
Il pregio fondamentale del romanzo è la scrittura, un poʼ fuori moda forse con il suo italiano classicheggiante, eppure così elegante e raffinata da soddisfare la nostalgia per una bella lingua.
Manca, purtroppo, la trama: il ritmo narrativo scorre senza sorprese, se non nelle ultime pagine: una lunga attesa, che non viene colmata dai personaggi, troppo abbozzati, e dalla descrizione dellʼambiente appenninico; ed è questʼultima una cocente delusione, non essere riusciti a trasmettere lʼʼatmosfera, magica ed antica, di un paesaggio e di una società, ormai tramontata.
Perché leggerlo ? Bello anche se un poʼ noioso.

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