Gradimento Medio-alto
ma non lo rileggerei

Ettore Fieramosca

scritto da D'Azeglio Massimo
  • Pubblicato nel 1833
  • Edito da Mursia
  • 232 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 05 luglio 2014

"Il padre di Fieramosca, invecchiato nelle guerre che lacerarono lʼItalia durante il secolo XV, non poté dare ad Ettore altro che una spada; e questi da giovanetto credette il mestier dellʼarme il solo degno di sé, né poté per molti anni aver pensieri superiori ai tempi in cui viveva, nei quali la forza dellʼarmi non si impegnava che ad accrescere la riputazione e lʼavere.
Ma crebbe il senno col crescer dellʼetà; e neʼ brevi momenti che si restava dal guerreggiare, invece di spender lʼozio in caccie, in giostre ed in altri giovanili piaceri, ebbe cari gli studi e le lettere; e conosciuti gli antichi autori, e gli onorati fatti di coloro che avevano sparso il sangue in pro della patria e non in vantaggio di chi meglio li poteva pagare, comprese quanto scellerata cosa fosse per se stesso il mestier dellʼarme, se a guisa di masnadiere si faccia col solo fine di arricchirsi delle spoglie dei deboli, e non per virtuosa cagione di difendere sé ed i suoi dalle straniere aggressioni".
Questa lunga citazione, con la quale DʼAzeglio sintetizza la formazione del protagonista, rende bene lo stile e il senso del romanzo: storia di un duello in riscatto dellʼoffeso onore italiano, ma anche specchio di un grande personaggio del nostro Risorgimento, quale è stato Massimo DʼAzeglio.
Letterato, pittore, scrittore, uomo dʼarmi, patriota ed infine primo ministro e mentore di Vittorio Emanuele II nei burrascosi anni, che seguirono la sconfitta della prima guerra dʼindipendenza.
Con questo romanzo DʼAzeglio arricchisce con la fantasia un fatto storico effettivamente avvenuto nel 1503: la disfida di Barletta.
Alcuni cavalieri italiani, che militavano al servizio della Spagna, vennero gravemente insultati da un barone francese, il quale aveva posto in dubbio il valore e la lealtà dei nostri combattenti.
Ne nacque una sfida nella quale risultarono vincitori gli italiani.
Lʼavvenimento storico è tuttavia di sfondo ad una intensa e sfortunata storia dʼamore.
Ettore Fieramosca, "perfetto nelle forme del corpo, (che) mostrava ...
con un vestire stretto alla carne", è innamorato di Ginevra.
La giovane è oggetto dei depravati desideri di Cesare Borgia.
Ettore riesce fortunosamente a salvare Ginevra, nascondendola in un convento vicino a Barletta.
Non è solo la passione amorosa, peraltro casta, a legare i due giovani.
Anche Ginevra è una fervente patriota.
Quando Ettore la informa della sfida, "il respiro di Ginevra diveniva più frequente; il seno, come fa una vela investita dai soffi dʼun vento che incalza, si alzava e sʼabbassava gonfio di affetti impetuosi, discordi, ma però tutti degni di lei; gli occhi, che parevano temperarsi a seconda delle parole del giovane, sʼaccendevano, gettavan faville." Quanta ardita sensualità nelle parole di DʼAzeglio ! È inutile aspettarsi un lieto fine.
Siamo nellʼottocento e le storie dʼamore devono finire tragicamente.
Ginevra muore, rapita e profanata nella sua virtù dal crudele Borgia.
Ettore, ignaro della perdita della donna amata, vince la sfida, ma, quando sa la verità, scompare senza lasciare traccia.
I montanari del Gargano parlarono per molti anni "dʼun cavaliere armato sulla cima di certe rocche inaccessibili, che stavano sopra un burrato cadente a piombo nel mare".

Le avventure di ardimento e di amore, gli intrighi e i tradimenti si succedono con una agilità e una maestria sorprendente e in qualche modo unica per la letteratura italiana dellʼottocento.
DʼAzeglio è un precursore di Salgari.
La ricchezza di episodi e di personaggi appesantisce, tuttavia, la trama, rendendo spesso difficile ritornare al filone principale.
In molti casi il racconto sembra essere lʼoccasione di grandi affreschi.
DʼAzeglio, da ottimo pittore, descrive con minuzia e con colori vivaci le feste, i ricevimenti e i duelli di un secolo, che amava divertirsi, pur guerreggiando continuamente.
E lʼautore ricorda che lʼarte della cucina era ben difficile ai quei tempi, perché "tutti i piatti dovevano non solo piacere al palato, ma dilettare eziandio lʼocchio dei commensali ...
i piatti dei confetti erano formati, ora come monticelli sui quali crescevano piante cariche di frutti canditi, ora ad immagine di laghetti dʼacque stillate, neʼ quali galleggiavano barchette di zucchetto lavorato, piene di dolci: alcuni figuravano unʼalpestre montagna con un vulcano in cima, ed il fumo che nʼusciva era di gratissmi profumi".

È difficile trovare il romanzo in forma integrale, in quanto lʼitaliano di DʼAzeglio è spesso arcaico, anche ampolloso.
Non bisogna arrendersi.
Proprio la sua scrittura dà quel senso di immaginifico e di irreale che é il fascino del libro.

Perché leggerlo ? È piacevole perdersi nellʼardore e nella fantasia di DʼAzeglio.

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